Le crisi aziendali minacciano uno tsunami di licenziamenti

Sono ben 69 le crisi aziendali al vaglio del Ministero dello Sviluppo economico. 80mila i lavoratori a rischio. Automotive, trasporti, siderurgia ed elettronica per la casa i settori più colpiti. Un focus sui casi di Bosch, Qf spa, ex Alcoa e Pernigotti.

Sessantanove tavoli al Ministero dello Sviluppo economico (Mise). Non è un ordine errato a un mobilificio e recapitato negli uffici di Via Molise o di via Veneto a Roma. Ma sono esattamente le crisi aziendali al vaglio dal Ministero dello Sviluppo economico. Che equivalgono a oltre 80mila lavoratori il cui futuro retributivo è messo a repentaglio. Numeri che riflettono le difficoltà che il sistema produttivo italiano vive da oltre un decennio. Con alti e bassi. E che la pandemia ha evidenziato con maggior nitore. MicroMega ne aveva già scritto: stavolta, però, lo tsunami di licenziamenti è una tempesta concreta. Nonostante il ridimensionamento del volume critico di vertenze aziendali, stando all’ultimo aggiornamento istituzionale: 55 tavoli attivi e 14 di monitoraggio.

“Il metodo introdotto al Mise in due anni di gestione delle crisi industriali e l’impegno quotidiano stanno dando i loro frutti anche se sono refrattaria ai toni trionfalistici e alle facili ricette”, ha detto la viceministra Alessandra Todde, che dal 2019 è impegnata sul fronte opposto al disfacimento produttivo del Paese. In media, come riporta l’Ansa – che ha pubblicato i dati del dicastero sul quinquennio 2012-2017 -, sono stati imbanditi 146 tavoli di crisi ogni 365 giorni, per 143mila posti di lavoro a rischio. Nel computo ministeriale, il reticolo di piccole imprese attanagliate dai morsi della recessione non c’è. Solo le entità più grandi fanno il loro ingresso negli androni ministeriali. I lavoratori interessati sono invisibili alle strategie nazionali di tutela.

L’automotive e i trasporti. La siderurgia e l’elettronica per la casa. Ad oggi, questi sono i settori più colpiti. Le sessantanove urgenze “hanno origini lontane e sono legate sia alla mancanza di competitività delle nostre produzioni di gamma non elevata e all’acquisizione dei nostri campioni nazionali da multinazionali estere” ha spiegato Luca Annibaletti, coordinatore della neonata struttura per le crisi d’impresa. La macchina è stata creata per supportare il lavoro delle istituzioni e stimolare la concertazione tra le parti. Come si legge sul sito, è un organismo che favorisce “le soluzioni di rilancio aziendale indirizzando le strategie aziendali, sperimentando strumenti innovativi per favorire azioni di reindustrializzazione e di ricollocazione dei lavoratori coinvolti”. Oltre a incoraggiare l’attrazione di investimenti nazionali ed es…

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

Il lavoro invisibile delle donne

Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.