Agnoletto: “Un altro mondo è possibile, ma solo costruendo ponti”

Il diritto alla cura e la battaglia per la moratoria dei brevetti sui vaccini. L’asservimento di media e politica agli interessi di Big Pharma. Il ritorno dei movimenti sulla scena politica. Parla Vittorio Agnoletto, medico e docente di Globalizzazione e Politiche della Salute all’Università di Milano.

La decima intervista della serie “La politica che (non) c’è“ è a Vittorio Agnoletto, medico, docente di Globalizzazione e Politiche della Salute all’Università degli Studi di Milano e conduttore di 37e2, la trasmissione sulla salute di Radio Popolare. In questa conversazione partiamo dalla pandemia e, attraverso il lavoro svolto da 37e2 e dalla campagna Right2cure, Diritto alla Cura, analizziamo il ritorno dei movimenti sulla scena politica. Un ritorno che era tutt’altro che scontato.

I due anni di pandemia potevano mettere definitivamente in ginocchio “i movimenti”. Così non è stato. La reazione della società civile è stata importante e, anzi, abbiamo assistito a un rilancio. La pandemia è stata una spinta?
In Italia c’è un tessuto sociale fatto di associazioni, piccoli gruppi, comitati, che agiscono quotidianamente attorno alla parola solidarietà. Questo è stato il motore che ha portato a un ritorno, come dici, dei movimenti. Parliamo di grandi realtà, di grandi associazioni, ma anche di una quantità enorme di gruppi informali che hanno sempre coniugato il tema della solidarietà con quello della giustizia.
Al cospetto della pandemia questo valore “etico”, fatto di azioni concrete e quotidiane, ha trovato una strada per esprimersi. Pensiamo alle brigate di solidarietà.
Dopo qualche settimana dal primo lockdown, le persone si sono rese conto di due fattori. Il primo: la pandemia non cadeva dal cielo ma era connessa con il modello di sviluppo. Il secondo: il servizio sanitario nazionale non era in grado di affrontarla. Questi fattori sono diventati “motivazione politica”. Si sono trasformati in una spinta ad agire. La sopravvivenza nella pandemia è diventata un obiettivo collettivo che ha assunto un significato politico.

Il vostro lavoro con Radio Popolare, Medicina Democratica e tante altre realtà di base è un esempio di quanto accaduto. Un lavoro emerso nella pandemia e che oggi si sta consolidando. Come spieghi il “successo” di questo percorso?
Quando è scoppiata la pandemia noi eravamo già impegnati con la trasmissione “37e2” e lavoravamo su due binari: l’informazione e il “diritto alla cura”. La pandemia ha unito questi due binari che sono confluiti nella battaglia per la moratoria dei brevetti sui vaccini. Ma anche qui non abbiamo avuto un approccio “ideologico” alla questione: da un lato ci siamo battuti fin dall’inizio per il diritto alla cura tramite i vaccini, dall’altro abbiamo raccontato i loro effetti collaterali. Un esempio: fin da subito abbiamo raccontato la verità sui vaccini, che non servivano tanto a evitare l’infezione, quanto a bloccare l’evoluzione dell’infezione in malattia. Questo mentre la narrazione ufficiale celebrava i vaccini come la soluzione de…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.