L’equivoco della libertà di opinione

La libertà di coscienza e di opinione è un pilastro delle società democratiche. Ma questo non significa che lo Stato debba essere indifferente rispetto alle credenze e alle visioni del mondo dei propri cittadini.

La libertà di coscienza e di opinione è un pilastro delle società democratiche. Questo sacrosanto principio ha però condotto nel tempo alla diffusa convinzione che in un regime democratico liberale lo Stato debba essere indifferente rispetto alle credenze e alle visioni del mondo dei propri cittadini e che quello che serve per tenere insieme la società è un consenso solo formale sulle procedure della democrazia e non anche uno sostanziale attorno a precisi valori e visioni del mondo. La pandemia ha mostrato però in maniera lampante non solo che le opinioni non sono tutte uguali ma, ancora più radicalmente, che una società democratica ha un preciso interesse nella promozione di determinate visioni del mondo – democratiche, scientifiche, razionali – e un corrispondente specifico interesse alla repressione di altre visioni del mondo – antidemocratiche, superstiziose, irrazionali. E questo non vale solo rispetto alle questioni relative alla salute, ma va molto oltre riguardando l’intero spettro delle credenze (politiche, religiose, filosofiche) dei cittadini, nei confronti delle quali una società democratica non può rimanere indifferente.

A differenza di Jürgen Habermas, il quale ritiene che “in società complesse la cittadinanza non può essere tenuta insieme da un consenso sostantivo su valori ma solo da un consenso sulle procedure per una attuazione legittima delle leggi e per l’esercizio legittimo del potere”[1], in quel che segue sosterrò che, al contrario, è proprio nelle società complesse che un consenso su un nucleo di valori sostanziali e universali condivisi è assolutamente necessario.

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Innanzitutto, qualche preliminare chiarimento concettuale, partendo dalla nozione di “universale”. Per “universale” qui intendiamo, con Kant, il prodotto della ragione pratica (ossia quella facoltà di porsi degli obiettivi e di agire in base a essi) che è accessibile a tutti, indipendente dal luogo, dal tempo e da qualsiasi esperienza. “Indipendente dall’esperienza” non significa non avere niente a che vedere con l’esperienza, ma solo non essere

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.