Michnik: “Putin? Un criminale psicopatico. Per la Russia finirà male”

“La guerra in Ucraina Putin l’ha già persa. Ha sottovalutato l’esercito ucraino e non ha previsto le reazioni dell’Occidente”. Parla Adam Michnik, storico e giornalista polacco protagonista della stagione del dissenso contro il regime comunista.

Dobbiamo iniziare dall’intervista di inizio febbraio (pubblicata su MicroMega 2.2022), abbiamo parlato tre settimane prima dell’invasione. Sostenevi in maniera molto convincente che non ci sarebbe stata…
A quanto pare la vita trasgredisce persino al più logico dei pensieri.

Cosa ti spingeva a crederlo?
Mi affidavo al senso comune. Come sai, ho incontrato un paio di volte Vladimir Vladimirovič Putin e all’inizio mi fece un’impressione in linea di massima positiva. Concreto, lontano da una certa neolingua, dalla retorica sovietica. Rispondeva alle domande. Ovviamente non si trattava di un liberale, ma ritenevo fosse un uomo che voleva continuare, riformandola, la politica di Boris El’cin, e El’cin fu colui che di fatto annientò il bolscevismo come forza dominante in Russia, come progetto politico. Riguardo al bolscevismo Putin si è spinto oltre rispetto a El’cin, perché nel discorso che preannunciava la guerra ha messo in discussione il ruolo di Lenin. Ha rinnegato Lenin in nome di Stalin, perché Lenin a suo parere fu il distruttore della potenza russa, mentre Stalin ne fu il costruttore.

Ma il tuo parere su di lui è cambiato?
Questo è quello che pensavo all’inizio. Ma anni dopo, nel 2010, durante una conferenza del Valdai Club, gli domandai sfacciatamente di Michail Chodorkovskij[1] [a quel tempo in carcere] e si infuriò. Allora ebbi l’impressione di avere a che fare con un delinquente. Ma continuavo a ritenere che fosse un criminale capace di fare i propri calcoli. Non come Hitler, che impazzì, ma in un certo senso come Stalin, che era in grado di trattenersi. Stalin era famelico come un lupo, ma sapeva battere in ritirata. Dalla Finlandia si ritirò, non la conquistò, con Berlino scese a patti, il muro venne eretto solo ai tempi di Nikita Chruščëv, e infine l’Austria, non se la arraffò per intero ma accettò le sfere d’influenza. Da questo punto di vista, ciò che ha fatto Putin bombardando Kyïv mi ha convinto che non si tratta di un criminale calcolatore, ma di un criminale psicopatico.

Il fatto che Kyïv sia stata bombardata ti ha sorpreso?
Putin si è totalmente smarrito. Non si è avverata nessuna delle sue diagnosi. In primo luogo, inizialmente ha creduto che avrebbe conquistato l’Ucraina in tre giorni, così come si era preso la Crimea. Era profondamente convinto che sarebbe stato accolto con entusiasmo dalla quinta colonna, perché come molti russi credeva fermamente che Kyïv fosse Russia.
Suonano come sinistre le dicerie riguardanti una sua conversazione risalente a tanto tempo fa con Donald Tusk [uomo politico polacco], in cui Putin avrebbe detto in tono scherzoso “noi ci prendiamo Kyïv, il Donbas, Charkiv, Odesa, e voi vi prendete quello che un tempo vi apparteneva: Leopoli, Drohobyč, Ivano-Frankivs’k”.
In secondo luogo, ha completamente sottovalutato con chi ha a che fare. Dal 2014 l’esercito ucraino si è parecchio ammodernato, è eccezionale nel combattimento ed è motivato, invece i suoi soldati non sanno perché si trovano lì.
Un ulteriore fallimento st…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.