L’invasione dell’Ucraina e le trasformazioni della guerra globale

Come il rimodularsi della globalizzazione in aree regionali interdipendenti, la connotazione sempre più apolide della classe dominante planetaria e l’impiego delle guerre come strumenti al servizio dei mercati allontanano (un poco) lo spettro del conflitto assoluto.

L’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022, ha brutalmente interrotto quella che gli storici chiamavano “la lunga pace”: il declino delle guerre interstatali, in particolare delle guerre tra Stati sviluppati, dalla fine della seconda guerra mondiale. In questo articolo tentiamo di capire perché si è scatenata l’attuale guerra di aggressione e se il declino delle guerre interstatali è destinato a durare, nonostante l’invasione russa.

Per affrontare la prima questione – le ragioni della guerra russa – volgiamoci a un semplice modello suggerito da Branko Milanovic[i]. Assumiamo che un Paese aspiri a due beni: la sovranità (autonomia nel prendere decisioni politiche ed economiche, rispetto ad altri Paesi) e la ricchezza (livello del reddito pro capite). In parecchie circostanze, più il Paese ottiene di un bene, meno può disporre dell’altro. Poiché infatti la ricchezza aumenta di solito al crescere dell’integrazione nell’economia e nella finanza internazionale, e talvolta anche al crescere dell’integrazione politica e giuridica (nel caso di Federazioni o di Unioni), essa comporta una parziale perdita della sovranità.

Storicamente, la Russia ha tentato varie volte di integrarsi con l’Occidente, ma questi esperimenti si sono rivelati fallimentari: oggi la Russia copre il 2 per cento del commercio internazionale con un PIL inferiore a quello italiano; la sua struttura produttiva è arretrata ed esporta quasi esclusivamente materie prime e risorse energetiche. Ne segue che la sua classe dirigente valuta opportuno perseguire principalmente il “bene sovranità”, anziché provare ancora con il “bene ricchezza”.

Tuttavia, Putin e il suo entourage hanno un problema di consenso interno. Essi sanno che la maggiore sovranità porterà all’isolazionismo, in particolare dall’Europa, e a minore ricchezza. Affinché i cittadini russi accettino questa prospettiva, occorre introdurre una strategia che la renda inevitabile. È qui che entra in scena l’Ucraina, considerata da gran parte dell’opinione pubblica russa un territorio “domestico”, da riconquistare per ragioni tanto economiche quanto di sicurezza e di prestigio[ii]. La campagna bellica in Ucraina diventa lo strumento che spinge l’Occidente a erigere una Cortina di ferro come sanzione per una politica che però, agli occhi della maggioranza dei russi, è pienamente giustificata. Così il maggior “bene sovranità” viene ottenuto da Putin a scapito del “bene ricchezza”, ma senza perdita di consenso. Inoltre, i risultati di questa strategia possono durare, in quanto i costi del ripudiarla sarebbero molto elevati per i russi: più la gu…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.