Batti il 5: perché la residenza è un diritto (e non un privilegio)

Una mozione del Consiglio comunale di Roma e una sentenza della Corte d’Appello di Firenze aprono crepe nell’applicazione vessatoria dell’articolo 5 del decreto Renzi-Lupi, riconoscendo il “superiore diritto alla residenza anagrafica” a prescindere dall’aver occupato o meno un immobile.

Il 7 giugno 2022, il Consiglio comunale di Roma ha approvato una mozione tramite cui il sindaco e gli assessori si impegnano a derogare all’articolo 5 del decreto Renzi-Lupi (n. 47/2014), per effetto del quale “chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge”. Nel percorso di conversione in legge (n. 80/2014), la norma è stata modificata per mantenere l’impianto punitivo nei confronti di chi occupa, includendo tra coloro che non possono richiedere l’iscrizione anagrafica tutte le persone sprovviste di un titolo di godimento dell’immobile (o, comunque, del luogo) in cui vivono. Ciò significa che chiunque non abbia un contratto di affitto, di ospitalità o mutuo registrato è di fatto escluso da tutti i servizi di welfare locali erogati per mezzo della residenza anagrafica (inclusi scuola, servizio sanitario nazionale, assistenza e previdenza sociale).

Un’esclusione del genere, in particolare nel contesto dell’emergenza legata alla pandemia da Covid-19, quando le persone sprovviste di residenza o tessera sanitaria erano di fatto impossibilitate a fare un tampone, non erano tracciabili e non potevano accedere alla campagna vaccinale qualora ne avessero avuto volontà o bisogno, ha rappresentato un rischio concreto per la salute pubblica. Ma anche per la conduzione di una normale vita sociale e per la partecipazione politica: non avere la residenza significa essere privati dei più basilari diritti civili e politici (quali votare, essere eletti e avere un documento di identità). Gli effetti escludenti della norma si sono fatti sentire soprattutto sulle persone migranti, la cui possibilità di ottenere un permesso di soggiorno, rinnovare quello in essere o soddisfare i criteri per il ricongiungimento familiare è legata, di fatto più che di diritto, all’avere la residenza in un luogo ritenuto “legittimo”.

Come si vedrà, un’interpretazione della residenza anagrafica quale strumento selettivo e punitivo, oltre a impedire la fruizione (in teoria universale) di diritti costituzionalmente protetti come quello all’istruzione o alla salute, è in contrasto con il Codice Civile e con le norme che regolano l’iscrizione anagrafica. Va contro anche alle indicazioni contenute nei Sustainable Development Goals elaborati dalle Nazioni Unite nell’agenda 2025-2030, al cui punto 16.9 si indica come obiettivo centrale quello di fornire una «identità giuridica per tutti, inclusa la registrazione delle nascite» entro il 2030.

È in questo quadro che si inserisce la mozione scritta da una parte della maggioranza capitolina, il cui testo rende esplicita l’intenzione di chiedere al governo di “modificare” l’articolo 5 nella direzione della tutela della dignità umana, mentre si impegna a procedere all’iscrizione anagrafica di minori o persone “meritevoli di tutela”. Nonostante sia uscito ammorbidito dal con…

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