Il nazionalismo russo, 1900-1914: identità, politica, società

Un’analisi degli avvenimenti, delle questioni, dei protagonisti del nazionalismo russo nel contesto imperiale, fino a poco prima della Grande guerra, con particolare attenzione a quanto scaturito dall’esperienza della rivoluzione del 1905 e della Duma di Stato. Estratto dal libro di Giovanni Savino pubblicato dalla Federico II University Press.

Attualità della questione nazionale russa: il Cremlino e l’uso pubblico del passato imperiale

Il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 e la conseguente nascita delle repubbliche indipendenti e della Federazione Russa rappresentano due avvenimenti che, a distanza ormai di un trentennio, continuano a essere centrali nella discussione su come definire oggi l’identità russa, e quali siano le connotazioni e i “confini” di essa. Questioni che potrebbero sembrare stravaganti e poco rispondenti alle sfide della contemporaneità, ma che in realtà rappresentano per la società e la politica del grande paese non un semplice esercizio di riflessione contemplativa, ma la ricerca di un proprio ruolo nell’epoca odierna e nel mondo, possibilmente da una posizione di forza che ne rispecchi le ambizioni da grande potenza.

Nei due decenni che hanno visto Vladimir Putin alla testa della Federazione Russa, più volte il presidente e il suo entourage hanno fatto ricorso alla storia come strumento indispensabile nel basare la propria legittimità e continuità con il passato. Le celebrazioni annuali della vittoria dell’Unione Sovietica sulla Germania nazista rappresentano il punto più alto, per visibilità e per clamore, dell’uso pubblico della storia da parte del Cremlino, anche per la presenza di una forte memoria di massa legata agli orrori della guerra e alla partecipazione di massa al conflitto. Sarebbe però sbagliato, come spesso accade soprattutto a opera di certa stampa, intravedere nel 9 maggio (giorno della Vittoria) un segnale di appropriazione del passato sovietico tout-court da parte di Putin. In una politica ricca di rimandi evocativi al passato glorioso della Russia, spicca la totale assenza di celebrazioni e commemorazioni del 1905 e del 1917, anni in cui sono avvenute due rivoluzioni di impatto enorme per l’impero e per il mondo, così come riguardo alla guerra civile, dove si era annunciato un tentativo di costruire una propria narrazione pacificatrice, il Cremlino ha preferito glissare. Questa assenza diventa ancor più evidente con la presenza di iniziative volte a ricordare l’impero zarista, rivendicando una continuità storica e spesso anche ideale con quell’epoca.

Durante il suo mandato da premier, Putin ha promosso la realizzazione di un monumento a P.A. Stolypin, il presidente del Consiglio della Russia imperiale tra 1906 e 1911, avvenuta nel 2012 in occasione del 150° anniversario della nascita dello statista. Nel 2014, su iniziativa del presidente, è avvenuto il rifacimento del Parco della Vittoria, complesso monumentale dedicato alla Grande guerra patriottica del 1941-45 e al trionfo su Napoleone, per includere uno spazio dedicato all’ultimo conflitto dell’impero zarista, la Prima guerra mondiale. In occasione dell’inaugurazione del monumento agli eroi della Prima guerra mondiale il 1° agosto 2014, Putin ha fornito la propria interpretazione riguardo al conflitto e al suo esito in modo inequivocabile:

La Russia adempì al suo dovere di alleata. Le sue offensive in Prussia e Galizia sventarono i piani del nemico, permisero agli alleati di tenere il fronte e difendere Parigi, costrinsero il nemico a lanciare una parte significativa delle sue forze a est, dove i regg…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.