Blues e femminismo nero

Come le cantanti blues Gertrude “Ma” Rainey, Bessie Smith e Billie Holiday hanno affrontato urgenti questioni sociali e contribuito a plasmare le forme collettive della coscienza nera. Pubblichiamo l’introduzione al volume “Blues e femminismo nero” di Angela Davis edito da Alegre.

Blues e femminismo nero è un’analisi del lavoro di tre artiste che hanno giocato un ruolo fondamentale nella storia della popular music negli Stati Uniti. Si tratta di un’indagine sui modi in cui le canzoni che hanno inciso divulgano tradizioni non ufficiali di coscienza femminista nelle comunità nere working class. La connessione che cerco di fare tra l’eredità del blues e il femminismo nero non è priva di contraddizioni e discontinuità. Attribuire a Gertrude “Ma” Rainey, Bessie Smith e Billie Holiday una coscienza femminista per come la definiamo oggi sarebbe insensato e poco interessante. Ciò che è più interessante – e provocatorio – della produzione artistica che ognuna di queste donne ha lasciato è il modo in cui dalla loro musica emergono – attraverso delle crepe all’interno dei discorsi patriarcali – tracce di un’indole femminista. Mentre cerco di contestualizzare le registrazioni delle loro performance – cioè le fonti primarie su cui lavoro – in relazione agli sviluppi storici degli anni Venti, Trenta e Quaranta del Novecento, mi interessa soprattutto il modo in cui le esibizioni di queste donne appaiono se viste attraverso la lente del presente, e ciò che queste interpretazioni ci possono dire di forme passate e presenti di coscienza sociale.

Considerando la lunga storia di schiavitù e segregazione negli Stati Uniti è comprensibile che la coscienza sociale nera sia stata sovradeterminata dalla razza. Questa monodimensionalità spesso si riflette anche nei lavori che cercano di riassumere quella storia. Nonostante negli ultimi due decenni sia stata prodotta una mole notevole di letteratura sulle premesse storiche del femminismo nero contemporaneo, sono ancora scarse le ricerche sulle connotazioni di classe del femminismo nero storico.

Siccome le opere delle scrittrici nere del diciannovesimo e dell’inizio del ventesimo secolo sono state rese progressivamente accessibili attraverso progetti come la collana Schomburg Library Nineteenth‑Century Black Women Writers, i tentativi di ricostruire le tradizioni storiche del femminismo nero tendono a concentrarsi su questo tipo di testi[1]. Dunque quelle che si costituiscono come tradizioni femministe nere tendono in larga misura a escludere le idee prodotte a opera e nel contesto delle comunità povere e working class, in cui le donne non avevano i mezzi o la possibilità di pubblicare testi scritti. Ma alcune donne nere povere ebbero la possibilità di pubblicare testi orali. Infatti negli anni Venti del Novecento molte donne nere erano richieste – e spesso sfruttate – dalle nascenti case discografiche. Le donne nere sono state le prime ad aver inciso canzoni blues. Nel 1920 la versione di Crazy Blues di Perry Bradford cantata da Mamie Smith, sua seconda r…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.