Ho visto cose che voi umani…

Dagli anni 2000 la scienza ha iniziato ad affrontare il problema delle basi neurobiologiche della coscienza e della possibilità di crearne una artificiale. Ma cosa si intende per macchina cosciente? E quali dovrebbero essere le caratteristiche di un robot senziente?

Da più di un secolo la fantascienza genera macchine viventi, robot umanoidi dotati di volontà, desideri, sentimenti, sensazioni e obiettivi indipendenti dal loro creatore: sono esseri coscienti.

Nel 1986 Philip Dick nel romanzo Il cacciatore di androidi, da cui è stato tratto Blade Runner, immagina un 1992 in cui gli uomini saranno capaci di creare i replicanti, copie artificiali degli esseri umani.

Nel 1968 Stanley Kubrick, nell’Odissea nello spazio, ambientata nel futuro 2001, dota il super computer HAL non solo di intelligenza, ma anche di coscienza: ha paura di morire.

Chissà come questi autori immaginavano il 2022. Forse resterebbero delusi scoprendo che non solo siamo lontani dal creare degli umanoidi, non siamo neanche riusciti a comprendere appieno la natura della coscienza stessa.

Soltanto a partire dagli anni 2000, grazie ai successi raggiunti nell’ambito delle neuroscienze, la scienza ha iniziato ad affrontare sperimentalmente il problema delle basi neurobiologiche della coscienza e della possibilità di creare una coscienza artificiale.

Nel 2001 (altro che Odissea nello spazio) si è svolto uno dei primi simposi sull’argomento: Can a Machine Be Conscious? In questa occasione, il neuroscienziato statunitense Christof Koch osservava che, al momento, non esiste nessun principio che vieti l’esistenza di sentimenti soggettivi negli artefatti progettati o evoluti dagli esseri umani. È vero ancora oggi: lo sviluppo di una coscienza artificiale per quanto ne sappiamo non è impossibile.

Ma cosa si intende per macchina cosciente? Quali dovrebbero essere le caratteristiche di un robot senziente? Riccardo Manzotti, Ph.D. in Robotica, Ordinario di Filosofia Teoretica presso la IULM di Milano e Fulbright Scholar al MIT di Boston, sostiene che l’elemento chiave della coscienza artificiale sia la volontà: “quando creeremo delle macchine in grado di sviluppare da sole le proprie motivazioni avremo creato una coscienza artificiale. Gli esseri viventi sono teleologicamente autonomi (hanno degli scopi che dipendono dalla loro volontà) mentre, al momento, i sistemi artificiali non lo sono. Penso che sia proprio questo ciò che ci blocca nel raggiungere un obiettivo del genere: i progettisti oggi, per motivi pratici, non hanno alcun interesse a creare macchine con una propria volontà. Non compreresti mai una Tesla che invece di andare dove vuoi tu, scelga la destinazione che più le piace. Oltre che molto scomodo sarebbe anche molto pericoloso”.

Avere un proprio scopo e perseguirlo e non eseguire gl…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.