“La notte del 12”: una voce maschile sul femminicidio

Ispirato al caso irrisolto di una giovane uccisa dalle fiamme mentre rincasava, il film di Dominik Moll – presentato a Cannes 2022 e in questi giorni nelle sale – ha il pregio di offrire un’aperta indagine da parte di un uomo sul versante maschile del femminicidio, su chi uccide, chi indaga e chi assiste senza dire nulla.

Da tanto tempo mi affanno intorno ai temi del femminile, del genere, della violenza nel doppio versante biologico e culturale e quindi – necessariamente – del femminicidio; con la parallela frustrazione di constatare che tanto impegno psicologico e sociale da parte di molti intorno a tale devastante fenomeno, diffuso in tutto il mondo, produce così pochi risultati sul piano della realtà.

Aggiungo che ogni volta che ne parlo o ne scrivo ci tengo a dire quanto mi manca, e quanto manca a loro stessi, una riflessione esplicita da parte degli uomini su questi temi; una onesta ricerca – al di là del generico ma sbrigativo dissenso – tesa a capire perché tanti maschi di diversissima età, istruzione, nazionalità tradizione culturale, orientamento politico, continuino a uccidere le loro donne (mogli, figlie, fidanzate, amanti) quasi sempre trascinando poi anche se stessi nelle tragiche e irreparabili conseguenze del delitto, dal suicidio alla condanna giudiziaria.

Forse alla base di tale ostinato silenzio c’è l’imbarazzo, il timore di essere ingiustamente attaccati in ragione della generica appartenenza al gruppo dei maschi; e forse la disapprovazione dei gesti criminali è solo di superficie, a coprire disinteresse o addirittura una persistente ostilità verso l’altro sesso. Ma anche tali ipotesi – giuste o sbagliate che siano – le formulano solo le donne.

Così da oltre mezzo secolo si accumulano studi e pensieri femminili sulle questioni dell’identità di genere e del potere. E sono pronta ad ammettere che magari sono troppi, che non ogni idea espressa in proposito è buona, valida o meritevole di consenso. Ma il punto è proprio questo: non smettiamo di provarci, mentre per contro gli uomini continuano a stare in silenzio. Non ci sono né libri né dibattiti, neppure critici o polemicamente negativi. Sembra non sentano alcun bisogno di capire se stessi e ciò che di irrisolto nel rapporto uomo-donna ci tiriamo dietro dal secoli. Non voglio certo ignorare che ci sono alcuni, anzi molti positivamente impegnati a ben operare e a proteggere i diritti delle loro compagne, ma al di là della generica presa di distanza dalle mentalità retrive, non sembra ci sia l’esigenza di capire perché tanti loro simili continuano a uccidere selvaggiamente anche a costo di distruggere le loro stesse vite. Come se non farlo li esponesse a qualcosa di ancora peggiore e intollerabile. (Mi sembr…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.