Capitalismo scientifico: ovvero Nobel e startup

Dei sei scienziati premiati quest’anno con il Nobel, ben quattro avevano già fondato proprie imprese. Da tempo infatti l’imprenditoria scientifica è promossa dalle università di tutto il mondo. Ma se prima il denaro era una ricaduta laterale della ricerca scientifica, ora è il suo scopo principale.

Dei sei scienziati che quest’anno sono stati insigniti del premio Nobel, tre per la fisica e tre per la chimica, ben quattro avevano già fondato proprie imprese. Appare qui in tutto il suo fulgore la figura di “scienziata imprenditrice”, o “ricercatore imprenditore”, dove il sostantivo sembra essere “imprenditore/trice” mentre “scienziata” e “ricercatore” hanno una funzione di mera aggettivazione. Questa figura, non nuova, ma recente nella sua codificazione, è da tempo caldeggiata e promossa dalle università di tutto il mondo, in quanto sintesi delle due concezioni dominanti del nostro tempo, a) quella neoliberista, per cui l’essere umano è definito dal suo essere imprenditore, caso mai imprenditore di se stesso, quando altro non ha e non può, e b) quella neofeudale, dell’aristocrazia cognitiva, per cui la presunta maggiore conoscenza o competenza di alcuni darebbe loro il diritto di governare e dominare tutti gli altri, ignoranti e incompetenti. Instancabili, le facoltà scientifiche esortano i loro dottorandi, post-doc e associati a familiarizzarsi con l’arte arcana di procurarsi i fondi, di individuare i soggetti di ricerca che possano attrarre finanziamenti e siano appetibili al venture capital. Più che scienziato imprenditore, il ricercatore è imprenditore scientifico, come si è imprenditore edilizio, imprenditore tessile.

Ma ora pare che questa nuova figura sia prediletta anche dai giurati dell’Accademia di Stoccolma del Nobel. Quest’anno il premio in fisica è andato a ricerche su un’oscura, quasi esoterica proprietà quantistica che sconcertava anche il grande Einstein (tanto che vi vedeva “una raccapricciante azione a distanza”): oscura sì, ma passibile di rivoluzionarie applicazioni nel campo dei computer quantistici, e quindi assai appetibile per gli investitori. Non stupisce dunque che dei tre laureati, due siano anche “imprenditori”: il californiano John Clauser (nato nel 1942) è titolare della J. F. Clauser & Associates, mentre il francese Alain Aspect (1947) ha fondato nel 2019 la sua pousse (letteralmenteil “germoglio”, tenera traduzione di startup) Pasqual. I tre laureati per la chimica sono stati premiati “per lo sviluppo di un nuovo metodo per assemblare nuove molecole”. La tecnica, chiamata click chemistry, o chimica a scatto, permette di unire le molecole insieme in modo sempl…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.