Se telefonando… Wanna Marchi e l’Italia degli ultimi quarant’anni

Non è stata soltanto la televisione a creare il fenomeno Wanna Marchi. La ragione del suo successo come regina delle televendite è da rintracciare anche nel modo in cui è storicamente possibile, attraverso il telefono, insinuarsi nelle vite delle persone.

È stata la televisione a creare il fenomeno Wanna Marchi? Forse. Ma non ha rappresentato il “core” del suo successo come regina delle televendite. Si tratta, a ben guardare, del combinato disposto di due processi, uno completamente figlio del suo tempo, l’altro ben più radicato nella natura umana.

Il primo, quello legato alla logica del mezzo, e al rapporto che la televisione riesce a costruire con l’Italia degli anni Ottanta, è ben rappresentato nella docuserie di Netflix. Il secondo, connesso al modo in cui è storicamente possibile, attraverso il telefono, insinuarsi nelle vite delle persone, è meno evidente, ma altrettanto ben documentato.

L’Italia dell’inizio degli anni Ottanta è quella delle Tv private che, in cerca di finanziamenti, ricorrono allo strumento delle televendite. Così recita – correttamente – la ricostruzione offerta da Garramone e Prosatore. Ma c’è qualcosa di più. In uno dei primi, rivoluzionari sforzi compiuti per venire incontro alle mutate abitudini del proprio pubblico, la televisione di quegli anni compie una transizione importantissima, che Umberto Eco, in un celebre saggio dal titolo “Tv, la trasparenza perduta” (Bompiani, 1983) identificherà nel passaggio dalla “paleotelevisione” alla “neotelevisione”. L’effetto più visibile di questo cambiamento è il passaggio da una programmazione di palinsesto, rigidamente divisa per fasce orarie, a una di flusso, che costruisce un ideale continuità della programmazione lungo il corso della giornata, appunto per accompagnare il proprio pubblico – e al tempo stesso attirarlo con maggiore efficacia.

A tal fine, programmi e conduttori metteranno in campo una serie di strategie di coinvolgimento dello spettatore, che Francesco Casetti sintetizzerà in uno dei volumi di Verifica qualitativa dei programmi trasmessi allora fortemente incoraggiata dal Servizio pubblico, dal titolo “Tra me e te” (VPT-ERI, 1988). In sintesi: tutto ciò che accade sullo schermo è il prodotto di un set di regole, un patto comunicativo, che si ispira a quattro categorie fondamentali: spettacolo (es. il varietà), apprendimento (che comprende l’informazione), ospitalità (alla base del formato talk show) e commercio. Wanna Marchi è, per chi studi quest’ultimo “ambiente” comunicativo, un punto di riferimento. Un personaggio televisivo che diviene tale in funzione del suo ruolo di tele-venditrice, che non reclamizza un prodotto altrui ma impone il suo stesso marchio, accogliendo gli spettatori nel suo punto vendita e definendolo “casa mia” – nel quale fa non a caso la sua comparsa la figlia, che da semplice comparsa costruirà nel te…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.