L’enigma fascismo

Un termine troppo abusato, che rischia di perdere di senso. Il carattere di massa e l’antiumanesimo dei fascismi storici. Da MicroMega 2/1995 proponiamo un’analisi ancora molto attuale pubblicata nel 1977 dall’autore di “Intellettuale a Auschwitz”.

Ognuno è fascista per qualcun altro: è un’evidenza al limite del banale. La parola d’ordine o (secondo il neologismo tedesco in voga) la «parola-stimolo» o (come preferisco definirla io) la «parola-segnale» fascismo non solo si è autologorata, ma ha assunto, secondo le leggi della logica formale, un’ampiezza semantica tale da annullare il suo contenuto concettuale. Tuttavia, ognuno di noi conosce dei regimi fascisti. Nel momento in cui utilizziamo questa parola-segnale, tutti noi pensiamo a precise forme di governo che, nonostante la natura di volta in volta diversa, nonostante la genesi totalmente diversa, presentano una serie di tratti comuni. Siamo però in grande difficoltà non appena ci viene richiesto di indicarli. In altre parole, allo stato attuale non siamo in grado di dare una definizione del fascismo tale da farla diventare una categoria autentica, intersoggettivamente valida.

Anche alcune amare esperienze personali non servono a molto. lo stesso ho vissuto, ed evito di essere enfatico dicendo ho sperimentato sulla mia pelle, due fascismi: il regime Dollfuss-Schuschnigg (1934-1938) e il nazionalsocialismo tedesco. Se provo però a interrogarmi con la massima onestà intellettuale possibile, sono le diversità dei due regimi a colpirmi, non le loro analogie. Il fascismo austriaco fu decisamente «mitigato dalla sciatteria», quello tedesco fu accurato fino alla follia. Erano entrambi fascismi? Ed è lecito accomunarli in una pseudo-categoria collocando sotto il medesimo gigantesco copricapo anche il regime dei colonnelli greci, per fortuna morto miseramente e quello cileno, purtroppo in vita, del generale Pinochet? E l’odioso Nixon era forse un fascista? È possibile definire fascista una delle tante giunte militari latino-americane perché per sbarazzarsi dei socialisti e dei comunisti si serve degli squadroni della morte? Ed è accettabile che da più parti si parli di «fascismo di sinistra» perché un paio di gruppi deliranti di estrema sinistra utilizzano metodi analoghi a quelli degli assassini nazionalisti della santa Vema durante la Repubblica di Weimar? Vedremo.

Tenterò una definizione, per quanto io sia consapevole del rischio non solo di sbagliare ma anche di confondere il lettore. La materia è talmente complessa che anche l’analisi più sistematica e più precisa non porta ad alcun risultato tangibile e assoluto, ed è già un successo l’aver trasmesso alcuni stimoli alla riflessione. Parlo di definizione e chiedo subito che mi sia consentito aprire una parentesi. In senso stretto la definizione dev’essere cristallizzazione di un concetto, deve cioè acclarare un concetto attraverso l’enumerazione delle sue caratteristiche di modo che il suo senso emerga chiaramente. In realtà la cosa non, è purtroppo, per nulla semplice in quanto le «caratteristiche» non sono assolutamente inerenti all’oggetto ma, al contrario, è sempre il soggetto che interferisce, accettando o meno come tali specifiche caratteristiche (nel nostro caso, quelle del fascismo). Ho conosciuto persone di assoluta integrità e intelligenza che non ritenevano che il regime Dollfuss-Schuschnigg fosse conn…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.