Le mediatrici culturali degli ospedali di Bologna senza stipendio da quasi un anno

Nelle strutture sanitarie bolognesi donne di ogni luogo del mondo svolgono un indispensabile accompagnamento linguistico e culturale alle donne immigrate. Ma da otto mesi sono senza stipendio e l’attività di cui vanno fiere è diventata, nei loro confronti, un esercizio di ricatto e violenza padronale.

Anna, 39 anni, non ci sta “a rimanere seduta sulla valigia in attesa di tornare a casa”. A fine febbraio, insieme ai tre figli, è scappata da Odessa con 200 dollari in tasca. Arrivata nella provincia bolognese dopo aver sostato in Moldova e Romania, si è messa subito a disposizione per tradurre pratiche di accoglienza, prescrizioni di farmaci e facilitare il percorso di vaccinazione anti-Covid dei suoi connazionali. In Ucraina era la responsabile dell’ufficio acquisti di un’impresa di calzature, oggi riconvertita alla produzione di scarponcini militari. Le avevano assicurato una retribuzione di 10 euro l’ora e di ore per mesi ne ha lavorate almeno sei ogni giorno. Ha assistito in lingua madre anche donne con gli arti sventrati dalle bombe. Le raggiungeva su e giù per la pianura in auto, la stessa con cui aveva guidato verso l’Italia per mettersi in salvo. “Non ti pagheranno mai – le aveva detto il maggiore dei figli – credono che chi fugge dalla guerra possa lavorare gratis”.

Non aveva torto.

Amina, marocchina, parla il francese e tutti i dialetti dell’arabo. È fra le figure storiche del centro per la salute delle donne immigrate e i loro bambini di via Beroaldo, quartiere popolare di Bologna. Dagli anni Novanta svolge un ruolo cruciale all’interno delle strutture sanitarie. Non è più una ragazzina e ha vissuto tutti i cambiamenti del settore della mediazione linguistica e culturale: “All’inizio eravamo contrattualizzate direttamente dalle Usl – racconta – e si guadagnava bene. Siamo indispensabili: oltre a garantire alle assistite diritti che spesso non sanno nemmeno di avere, e a liberarle dal ricatto che a tradurre i loro bisogni siano solo gli uomini di famiglia, permettiamo ai medici di non commettere errori nella formulazione delle diagnosi”.

Poi è arrivato il profitto. Nel 1993 le unità sanitarie locali sono diventate aziende e i bilanci economici hanno iniziato a governare cure e assistenza. Il nodo sta proprio lì, nelle gare d’appalto bandite dagli enti pubblici che fissano le caratteristiche dei servizi da erogare, l’arco temporale in cui fornirli e il tetto ai costi da sostenere. E ciò accade in diversi ambiti essenziali: l’assistenza sociosanitaria, i servizi educativi e la scuola: “La pubblica amministrazione si affida alle cooperative o alle Onlus che si aggiudicano i bandi e la paga è calata: in passato sono arrivata a guadagnare 30 euro l’ora, oggi siamo a circa 8”.

Da otto mesi Anna e le sue colleghe non ricevono le loro spettanze. C’è chi ha accumulato salari non riscossi anche per 10 mila euro. “La cooperativa per cui operavano – sottolinea il funzionario Fp-Cgil di Bologna, Simone Raffaelli – non è una realtà del territorio; qui vantiamo tutto sommato percorsi virtuosi. È la romana Synergasia che fornisce servizi …

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.