Perché ridiamo? Origine e misteri di un comportamento non solo umano

Pare che la risata sia un comportamento importante nella nostra quotidianità, anche se, per molto tempo, gli scienziati non hanno capito perché. A cosa serve la risata? È una prerogativa umana? Da quanto tempo ridiamo? Negli ultimi decenni, le neuroscienze e l’etologia (la scienza che studia il comportamento degli animali) hanno fatto importanti passi in avanti nella comprensione di questo misterioso comportamento.

Anche se magari non ce ne rendiamo conto, noi umani ridiamo spesso. Magari non sempre di gusto, in risposta a una battuta o a una situazione divertente. Si può ridere per smorzare l’imbarazzo, per incoraggiare un amico, perfino per denigrare qualcuno. Della funzione della risata abbiamo parlato con Fausto Caruana, neuroscienziato presso l’Istituto di Neuroscienze del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) di Parma e con Elisabetta Palagi, Professore associato ed etologa presso il Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa. I due ricercatori insieme all’americano Frans de Waal hanno curato una raccolta di articoli, pubblicata dalla rivista Philosophical Transactions of The Royal Society B, proprio sulle basi biologiche, psicologiche, neurali e culturali della risata negli esseri umani e in altri animali.

In laboratorio nessuno ride

“I filosofi cercano di capire la risata da secoli, per quanto ne sappiamo almeno dai tempi di Aristotele”, dice Caruana. “Sin dall’epoca dei greci però sono stati fatti due errori fondamentali nell’analisi di questo fenomeno. Il primo: gli studiosi confondevano lo studio della risata con quello dello humor, un fenomeno che richiede capacità cognitive complesse. Il secondo: credevano pertanto che la risata fosse una prerogativa puramente umana”.

Sono passati poi molti secoli prima che gli scienziati tornassero ad affrontare la questione, anche perché studiare la risata non è affatto semplice.

 “A parte il fatto che in un laboratorio nessun soggetto sperimentale ride”, ironizza Caruana, “c’è poi un limite strumentale: quando una persona ride, si muove, rendendo impossibile la registrazione dell’attività neuronale”.

Proprio per questi motivi, tra gli anni ’80 e gli anni ’90, Robert Provine, psicologo statunit…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.