Carne coltivata: una iattura o un’opportunità?

Da qualche tempo nel dibattito pubblico si è cominciato a parlare di carne coltivata (chiamata anche impropriamente sintetica o clonata): si tratta di carne ottenuta in vitro, coltivando cioè particolari cellule, e non derivante quindi dall’uccisione di un animale. Di che cosa si tratta?

Nel dibattito in corso sulla cosiddetta carne coltivata le posizioni che godono di maggiore visibilità sono quelle nettamente contrarie. Ad esempio, il ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida, rispondendo a un question time svoltosi al Senato il 17 novembre scorso, e commentando il recente via libera dato dalla Food and Drug Administration al consumo umano di carne coltivata negli Stati Uniti, ha affermato: “Garantisco che finché saremo al governo sulle tavole degli italiani non arriveranno cibi creati in laboratorio”. E ha aggiunto: “Desidero sgomberare il campo da qualsiasi equivoco: il governo è contrario a cibo sintetico e artificiale e ha intenzione di contrastare in ogni sede questo tipo di produzioni”.

Prima di entrare nel merito della questione, ci sembra opportuno sviluppare alcune considerazioni di carattere generale.

La scienza non ha un valore prescrittivo: semplicemente la scienza ci consente di comprendere come certi fenomeni avvengano. Questa conoscenza, a sua volta, ci permette di manipolare la realtà con lo scopo di ottenere determinati obiettivi.

La scienza e le tecnologie da essa derivate, quindi, sono solamente strumenti che possiamo decidere di usare o meno. La decisione è però evidentemente un problema extrascientifico e, se vogliamo, in senso lato politico.

Se vogliamo però prendere decisioni razionali dobbiamo effettuare un accurato bilancio benefici-rischi. E per fare tale bilancio è assolutamente necessario partire da dati e informazioni attendibili, quali sono, appunto, quelle fornite dalla scienza. Se partiamo da dati e informazioni errate è ovvio che tutto ciò che ne segue è fallace.

Detto questo, vediamo di capire cosa sia realmente la carne coltivata e quali conoscenze abbiamo su di essa, ripercorrendone brevemente la storia.

Winston Churchill (1874-1965), nel suo saggio

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.