Audrey Hepburn e quel sogno di libertà

L’attrice amatissima ci lasciava il 20 gennaio di 30 anni fa. Ma l’eredità dell’immaginario cinematografico che ha contribuito a creare ci accompagna ancora oggi. E forse Roma, città con la quale ebbe un rapporto così importante, bene farebbe a dedicarle un monumento: una statua che permetta a tutti noi di esprimerle affetto e riconoscenza.
audrey hepburn

Diciamo che siete su un aereo, alla fine degli anni ’30, poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale: non è un volo qualsiasi, è l’ultimo possibile, prima dello scoppio delle ostilità tra Inghilterra e Germania, che copra la tratta tra Londra e Amsterdam.

Se avete circa dieci anni e il vostro più grande sogno è la danza, vi chiamate Audrey Hepburn. Una delle sue più grandi emozioni, e fonte di ansia, come racconterà l’attrice di cui il 20 gennaio ricorrono i trent’anni dalla morte, sarà infatti quella di ballare, accanto a Fred Astaire, scatenatissimo, in Cenerentola a Parigi che, sulle note ammalianti di Gershwin, ad un certo punto, oltre a mulinare i piedi nel tip tap, fa il giocoliere con un ombrello e il torero con un manzo indifferente. Purtroppo quando ritornerà a cercare di studiare la danza, dopo la fine della guerra, sempre a Londra, sarà troppo tardi, le dirà la sua insegnante. È troppo grande e troppo malconcia: ha i postumi di gravi forme di malnutrizione. La guerra è stata dura sotto l’occupazione nazista dell’Olanda, guidata direttamente dalle SS. Un paio di suoi zii, fratelli della madre, furono tra i primi a morire sotto il fuoco dei tedeschi. Ma non lo sa, l’insegnante, che Audrey avrà in futuro il privilegio di ballare con Astaire, su una zattera, un vestito da sposa e bianchi volatili che fluttuano sulla superficie di un torrente come in un cartone disneyano.

Anche oggi, su YouTube la si può vedere volteggiare virtuosisticamente sulle punte in Secret people, del veterano britannico Thorold Dickinson: ma che la gloria del tutu le sia preclusa è una gran fortuna per tutti noi. Inizia a cercare e a trovare piccole parti nel cinema. Sarà William Wyler, un  regista che aveva vissuto la seconda guerra mondiale al fronte come operatore, era stato tra i primi ad entrare in un campo di concentramento, esperienza che non lasciò indenne la sua visione del mondo, l’uomo di cinema che diede alla Hepburn la parte che cambiò completamente la sua vita: quella della principessa in incognito di Vacanze Romane. Quanti turisti che scivolano pigramente per via del Tritone verso Piazza Colonna sanno che proprio in quella location Gregory Peck e la Hepburn, a cavallo di una lambretta, sembravano divertirsi come teenager scorazzando per la città eterna nel film grazie al quale l’attrice vinse un oscar? Se ci fosse un assessore alla…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.