Un asinello di Buridano: il PD è da sempre al bivio fra comunitarismo e socialismo

È bene interrogarsi sulle cause teoriche alla base del disastro del Partito Democratico, specialmente quando gli (auto)candidati alla nuova segreteria eludono sistematicamente questo piano. Fin dalla partenza infatt il disastro del PD è stato rimanere fermo, come un asinello di Buridano, al bivio fra comunitarismo e socialismo.

Augusto Cusinato

Negli ultimi quindici anni, il peso elettorale del centro-sinistra (al netto dei 5 Stelle) è sceso dal 47,8% al 24,5% (Emanuele et al., 2022) e, stando ai recenti sondaggi, nei quattro mesi successivi alle elezioni dello scorso 25 settembre si è ridotto di altri quattro punti. Interrogarsi sulle cause del disastro del PD – un disastro di portata tale da far dubitare della tenuta del partito e del ruolo del centro-sinistra – non appare pertanto cosa peregrina: specialmente quando gli (auto)candidati alla nuova segreteria lo eludono sistematicamente, schiacciati come sono (o scelgono di essere) sulle contingenze interne ed esterne al partito.

Colgono nel segno Anna Bosco e Francesco Ramella (2022) e Michele Salvati (2022), nell’indicare la causa della crisi del PD rispettivamente nell’ambiguità del suo progetto politico e nella mancanza di “una sintesi teorica rigorosa” tra le due componenti costituenti: la sinistra post-comunista, socialista e ambientalista, da un lato, che si era riunita nei Democratici di Sinistra meno di un decennio prima, e quella cattolico-sociale, dall’altro, dopo che l’eredità della Democrazia Cristiana si era dispersa tra molte e mutevoli sigle politiche (Partito Popolare Italiano, Centro Cristiano Democratico, Cristiano Democratici Uniti, Cristiano Sociali, Unione Democratica per la Repubblica, Democrazia è Libertà-La Margherita, e altre ancora).

Quell’ambiguità e quella carenza di sintesi sono connaturate alla modalità costitutiva del PD, nato dall’unione a freddo, come si è soliti leggere, delle sue componenti: unione ‘a freddo’ perché realizzata anteponendo la preoccupazione, in sé legittima e meritoria, per i destini della Repubblica-nata-dalla-Resistenza a un’interpretazione critica della condizione del Paese, realizzata sulla base di un sistema di valori condiviso.

Per dire del clima di allora, la costituzione del PD avvenne, nell’ottobre 2007, tra la risicatissima vittoria ottenuta alle elezioni politiche del 2006 (con soli due seggi di vantaggio al Senato, anche se con un margine più ampio alla Camera) e la caduta del governo Prodi nel 2008, lo scioglimento anticipato delle Camere e la rivincita del centro-destra. Si trattò di un tentativo generoso, inteso a dotare il progetto dell’Ulivo di un partito che rendesse strutturale l’incontro tra cattolici e socialisti. Ma la generosità non paga, quando non sia integrata in un quadro chiaro e condiviso di valori, obiettivi, programmi ed azioni: diversamente, è soltanto buonismo, nobile quanto si vuole, ma alla fin fine autolesionista.

Per la verità, una comune base valoriale era presente, benché formalizzata a posteriori, nel Manifesto dei Valori del febbraio 2008, la quale appare ancora più chiara e convincente, anche per l’utilizzo parsimonioso…

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