I rifugiati al confine fra Bielorussia e Polonia

Il valico di frontiera polacco-bielorusso è diventata una delle tante zone di confine del mondo in cui le persone si ammalano e muoiono sotto l'occhio vigile dello Stato. La vulnerabilità e le morti dei rifugiati al confine fra Bielorussia e Polonia sono state normalizzate, cioè sono state viste come una conseguenza regolare e accettabile della politica migratoria adottata.

Qual è l’atteggiamento dei polacchi nei confronti dei rifugiati? Il 2021 e il 2022 hanno visto l’emergere di due discipline di frontiera nettamente diverse lungo il confine orientale della Polonia. A coloro che attraversavano il confine polacco-ucraino venivano offerti controlli di frontiera più rapidi e infrastrutture di supporto, oltre a un’accoglienza calorosa, incoraggiata dalla retorica della dignità e della vicinanza. L’attraversamento dei rifugiati al confine fra Bielorussia e Polonia ha visto blocchi brutali, razzializzazione dei rifugiati non europei e una rapida militarizzazione del confine.

Il risultato è che dalla metà del 2021 il valico di frontiera polacco-bielorusso è diventato una delle tante zone di confine del mondo in cui le persone si ammalano e muoiono sotto l’occhio vigile dello Stato. La vulnerabilità e le morti che si verificano ai confini dello Stato sono state normalizzate, cioè viste come una conseguenza regolare e accettabile della politica migratoria adottata. Ma dato che questi rifugiati chiedono asilo in Polonia, costringerli a tornare in un ambiente a rischio di vita è contrario ai principi della Costituzione polacca e delle Convenzioni di Ginevra.

Una situazione al limite
Nella pratica, si tratta di una risposta illegale a un atto illegale di attraversamento del confine. Tuttavia, non c’è simmetria tra i due casi in termini di illegalità. Le autorità statali mettono deliberatamente e sistematicamente in pericolo la vita umana, mentre i rifugiati sentono di non avere altra alternativa se non quella di violare la cosiddetta integrità del confine; è improbabile che vengano ammessi in Polonia a un normale posto di blocco. Coloro che arrivano in Europa sono fuggiti dalle guerre in Siria e Yemen, dalla lunga miseria dei campi profughi giordani con le loro case container, dalle persecuzioni in Afghanistan o dalla fame in Sudan ed Etiopia. Di fronte alla scelta tra il confine terrestre e quello marittimo europeo, optano per una traversata apparentemente più sicura attraverso la foresta. Fino a un certo punto della traversata, possono contare sul sostegno delle autorità bielorusse. Il gioco della patata bollente con i rifugiati al confine ha conse…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.