Il diritto d’aborto non se la passa bene in Occidente

La sentenza Dobbs del giugno 2022 ha riaperto negli USA la discussione sull’aborto e sul diritto d'aborto. E anche in Europa – e in Italia – la situazione è più controversa e minacciosa di quanto possa sembrare.

La sentenza Dobbs del giugno 2022, già prima di essere pronunciata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, ha riaperto la discussione sull’aborto, o meglio sull’esistenza o meno di un diritto all’aborto. Con essa è stato negato l’assunto fondamentale della storica sentenza Roe vs Wade, che nel 1973 aveva riconosciuto fondamento costituzionale al diritto d’aborto, basandolo sul diritto alla “privacy”, ossia sul diritto delle persone alla non interferenza dello Stato in questioni che riguardano la loro sfera intima, la loro vita privata, le loro relazioni. Un riconoscimento, di fatto, del diritto all’autodeterminazione per le donne in gravidanza.

La sentenza Dobbs non vieta l’aborto ma, sganciandolo dai diritti garantiti dalla Costituzione, attribuisce a ciascuno Stato dell’Unione il potere di legiferare su di esso, rendendo non solo l’autonomia, ma anche la salute delle donne, ostaggio delle maggioranze politiche e dei governi del momento. I singoli Stati, vietando o limitando fortemente l’accesso all’aborto, possono pertanto forzare le donne a portare a termine la gravidanza, contro la loro volontà, costringendole di fatto ad una condizione di “semi-schiavitù corporale” (L. Ferrajoli, Il problema morale e il ruolo della legge, in Critica marxista 1995, n. 3, p. 45, citata da P. Veronesi “Un affare non solo di donne”: la sentenza Dobbs v. Jackson e la Costituzione “pietrificata”, Genius – Rivista di studi giuridici, gennaio 2023), anche nel caso in cui ciò comportasse un grave rischio per la loro vita o la loro salute.

È quanto sta succedendo in molti stati dell’Unione: in quattro Stati, qualora il senso della sentenza non fosse chiaro, è stato persino approvato un emendamento costituzionale che dichiara esplicitamente che la loro Costituzione non ammette l’aborto,  né permette di utilizzare fondi pubblici per esso. Ad oggi, dopo la sentenza Dobbs, l’aborto è vietato, indipendentemente dall’epoca gestazionale, in ben 12 Stati; in uno Stato è vietato dopo la sesta settimana di amenorrea e in due Stati dopo la quindicesima settimana (Guttmacher Institute: State Bans on Abortion Throughout Pregnancy, feb 2023). Altri Stati hanno introdotto forti limitazioni, per cui per molte donne la possibilità di accedere all’aborto è, già ora, legata alla possibilità di recarsi dove esso è legale, e dunque alla loro disponibilità economica. Tutto ciò ha portato ad una grave esacerbazione delle diseguaglianze, e all’aumentare dei rischi per l…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.