Gli oppositori russi avevano previsto da anni la guerra in Ucraina

Pubblichiamo la prima parte di un documento straordinario: il rapporto dettagliato "Putin. Guerra" con cui nel 2015 l'oppositore russo Boris Nemcov, poco prima di essere assassinato davanti al Cremlino, denunciava le intenzioni di Vladimir Putin di scatenare una guerra in Ucraina su larga scala. Ringraziamo l'associazione Memorial Italia e l'oppositore politico Il'ja Jašin, attualmente in carcere dove sta scontando una condanna a otto anni e sei mesi per aver condannato pubblicamente il massacro di Buča come responsabilità dell'esercito russo.
Guerra in Ucraina: profilo di Putin con scia di un missile

Nota della redazione di MicroMega: Questo dossier in tre parti che svela come già nel 2015 i dissidenti russi stessero denunciando l’intenzione di Putin di scatenare una guerra in Ucraina è frutto della collaborazione con Memorial Italia, ramo italiano dell’associazione Memorial, Premio Nobel per la pace 2022, che oggi è sotto pesante attacco a Mosca. Ringraziamo i componenti dell’associazione, in particolare Giulia De Florio e la traduttrice del documento Milly Berrone. Un ringraziamento speciale va a Il’ja Jašin, che sulla base del lavoro di ricerca effettuato da Boris Nemcov ha redatto questo documento insieme a Ol’ga Šorina; Jašin è stato arrestato a giugno 2022, è attualmente in carcere, condannato a 8 anni e 6 mesi di reclusione per le sue dichiarazioni sul massacro di Buča. Il reato che gli è stato imputato è “diffusione di false informazioni” sulle forze armate.

“Il compito dell’opposizione adesso è fare informazione e dire la verità.
E la verità è che Putin significa guerra e crisi”.
Boris Nemcov, post su Facebook del 31 gennaio 2015

L’idea di questo dossier è di Boris Nemcov. Un giorno è arrivato alla sede del partito e ha annunciato a voce alta: “Ho capito cosa dobbiamo fare. Bisogna scrivere il dossier ‘Putin. Guerra’, stamparne tantissime copie e distribuirle per strada. Spiegheremo perché Putin ha scatenato questa guerra. Soltanto così sconfiggeremo la propaganda”. Nemcov ha guardato con aria trionfante le persone che aveva intorno, come faceva ogni volta che gli veniva in mente una buona idea. “Che ne dici, Šorina? Ti piace?”, e ha abbracciato Ol’ga.

All’inizio del 2015 Boris ha iniziato a raccogliere materiali per il dossier. Ha lavorato molto sulle fonti aperte, ha trovato persone disposte a condividere le informazioni. Nemcov credeva che il tentativo di fermare la guerra fosse un gesto di autentico patriottismo. La guerra con l’Ucraina è un crimine vile e cinico che il nostro paese pagherà con il sangue dei propri cittadini, con la crisi economica e l’isolamento internazionale. In Russia questa guerra non serve a nessuno, se non a Putin e al suo entourage.

Boris Nemcov (foto di Denis Sinjakov)

Boris non ha avuto il tempo di scrivere il testo del dossier. Il 27 febbraio 2015 è stato assassinato sul ponte Bol’šoj Moskvoreckij, proprio di fronte alle mura del Cremlino. Si sono fatti carico di portare a termine l’impegno preso da Nemcov i collaboratori, gli amici e le persone che ritenevano importante questo lavoro. Il dossier si basa sui materiali preparati da Boris. Contenuti, appunti manoscritti, documenti: tutto ciò che Boris ha lasciato è stato utilizzato per preparare il testo.

Il nostro compito è dire la verità sull’ingerenza del Cremlino nella politica ucraina, ingerenza che ha condotto a una guerra tra i nostri popoli. Una guerra che bisogna fermare immediatamente.

Perché Putin ha bisogno di questa guerra
A partire dall’autunno del 2011 il consenso di Vladimir Putin è iniziato a calare sensibilmente. Alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2012 è emersa l’eventualità che il presidente non riuscisse a ottenere la vittoria al primo turno. Uno scenario del genere rischiava di indebolire in modo considerevole la posizione di Putin e di minarne la legittimità. Guidare il paese con l’abituale stile autoritario da “leader della nazione” sarebbe stato molto più difficile.

La campagna elettorale ha richiesto un impiego massiccio di risorse governative per garantire a Putin la vittoria al primo turno. I presupposti determinanti per la vittoria tuttavia sono stati la mancata ammissione alle elezioni di avversari reali, disposti ad affrontarsi sul serio per l’incarico di presidente, e il totale controllo amministrativo su tutti i media di rilievo. Alle elezioni del 2012 non si sono potuti evitare neppure i brogli diretti: schede elettorali false, irregolarità, verbali alterati, “voto giostra” ovvero gruppi di persone portate a votare più volte in seggi differenti.

Tornato, in base ai risultati delle urne, alla poltrona di presidente, Putin ha preso una serie di decisioni populistiche nella speranza di consolidare il consenso. Nella fattispecie ha firmato i cosiddetti “decreti di maggio” del 2012 che una serie di esperti ha ritenuto dispendiosi e ingiustificati dal punto di vista economico. Ma neppure il populismo ha permesso di invertire la tendenza: dopo le elezioni il consens…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.