I giovani iraniani all’estero sono ormai costretti all’autoesilio

Non avevano lasciato il loro Paese per scappare dal regime, ma da quando hanno iniziato a partecipare alle manifestazioni di solidarietà con i loro concittadini, i giovani iraniani all'estero si ritrovano in una condizione di esilio obbligato. Al ritorno in patria, infatti, verrebbero incarcerati o persino condannati a morte per aver manifestato contro il regime degli ayatollah. Il racconto di alcuni studenti iraniani in Italia.
Giovani iraniani all'estero manifestano a Roma a marzo 2023

Siamo verso la fine di gennaio e in Iran ha iniziato a nevicare, Aein dal suo cellulare mi mostra le strade imbiancate della sua città. Aein è uno studente iscritto in un’università del Nord Italia, e quelle strade per un bel po’ di tempo è convinto che non le rivedrà più, perché se ritornasse in Iran rischierebbe il carcere o la pena di morte. Come lui la pensano tanti giovani iraniani all’estero.

“Da quando sono giunto in Italia ho iniziato a partecipare alle manifestazioni antigovernative contro il regime del mio Paese, alcuni dei miei concittadini durante le proteste si coprivano con la mascherina, occhiali da sole e cappello, per non essere riconosciuti in caso fossero state scattate foto o fatte delle riprese. Io, al contrario, ho sempre manifestato a viso scoperto, esprimendo anche il mio dissenso nei social network, quindi, al momento per me tornare in Iran è pressoché impensabile”, racconta Aein.

Mehdi Zare Ashkzari era uno studente di Farmacia all’Università di Bologna, era tornato in Iran perché le condizioni di salute della madre si erano aggravate. A causa di problemi con il visto non è più riuscito a tornare in Italia, o meglio gli hanno impedito di tornare; nel periodo che rimane nel suo Paese partecipa alle proteste contro il regime. Durante una manifestazione viene arrestato, e poi torturato. Mehdi Zare Ashkzari morirà, all’inizio di gennaio 2023, dopo 20 giorni in coma a seguito delle violenze subìte. «La medesima sorte che è capitata a Mehdi Zare Ashkzari potrebbe accadere a qualsiasi iraniano decidesse di tornare in Iran in questo momento», dichiara Aein.

A questo punto chiedo ad Aein di spiegarmi che cosa potrebbe succedergli una volta atterrato in Iran.

“Giunto in aeroporto potrebbero controllarmi il telefono e il laptop per sapere se ho pubblicato sui social media qualche contenuto contro la Repubblica Islamica, controllerebbero anche le mie attività online o se ho partecipato a qualche manifestazione». E prosegue: «Non sarebbe una sorpresa se una volta atterrato mi arrestassero all’aeroporto, ma non saprei cosa potrebbe succedermi dopo, probabilmente mi farebbero un processo “lampo” in cui non avrei tempo per difendermi, e dove dovrei dichiarare di essere colpevole; di sicuro comunque finirei in carcere e non escludo che mi condannerebbero a morte. Proprio per questo molti iraniani, esattamente come me, temono di tornare in Iran”.

Anche Hassan, un altro studente universitario, fa eco a questo commento, e afferma: “Tornare in Iran è per tutti noi molto, ma molto rischioso. I maschi che hanno lasciato l’Iran con l’esonero scolastico, se tornano, sono costretti ad arruolarsi nell’esercito, e chi ha manifestato, semmai è stato id…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

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Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.