Parigi brucia, data alle fiamme da un nuovo Nerone

Il potere di cui si sta avvalendo Emmanuel Macron per far passare a tutti i costi la sua riforma delle pensioni è autoritario e solitario, e rappresenta per molti versi il passaggio della Francia da democrazia a una forma di autocrazia. A Parigi le violazioni dei diritti umani sono sistematiche, ma il popolo francese per ora non si arrende. Dobbiamo sostenerlo affinché non lo faccia mai.
Francia

(Parigi, Francia). Come un ladro furtivo nel cuore della notte. Così la contestatissima legge sulla riforma delle pensioni viene promulgata ufficialmente la notte del 13 aprile dal Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron dopo un braccio di ferro durato mesi con un’alleanza di ben otto sindacati e una società civile sempre più avversa ai coups de théâtre presidenziali. È la prima volta nella storia della Quinta Repubblica che un Presidente promulga una legge nel cuore della notte. Questo fa capire quanto grave sia la faglia che separa la presidenza dal popolo, quanto quest’ultimo sia ostile a una riforma mai discussa con parti sociali e sindacati, e quanto il Presidente abbia voluto farla passare d’urgenza per renderla attuabile già a partire dall’autunno.

La notte della promulgazione, come nei periodi più turbolenti della storia di Francia, le strade adiacenti l’Assemblea Nazionale, Place de la Concorde e gli stessi Champs Elysées diventano un enorme campo di battaglia fumante e maleodorante. Decine di tonnellate di immondizia non raccolta a causa degli scioperi dei netturbini vengono date alle fiamme dai manifestanti che le usano come materiale incendiario, i grandi bidoni verdi della spazzatura scampati al fuoco che divora le strade diventano blocchi per erigere barricate improvvisate nella città il cui odore ricorda la puzza di polvere da sparo della Comune. E ovunque macchine bruciate, lancio di molotov, bombe carta e razzi artigianali contro la gendarmeria asserragliata agli angoli delle città, il fumo acre dei lacrimogeni che ormai entra nelle chambres de bonne del V arrondissement, la capitale dei lumi nella notte viene inghiottita dal buio e dalla cenere.

Nel deserto cittadino in cui la luce dell’Assemblea Nazionale declina verso il crepuscolo, il “monarca presidenziale“ siede sul suo trono vuoto e in un’intervista a Le Monde riesce spavaldamente a confessare di “non aver scrupoli o rimpianti”, agitando come uno spauracchio la sua vittoria di Pirro su operai, studenti, netturbini, camionisti e ferrovieri che pur di bloccare la riforma perdono pezzi ingenti di salario mentre il loro Presidente, con disprezzo e alterigia, si cela dietro un motto dal sapore criptofascista (“non mollare, questo è il mio motto“, dice) e gongola per l’approvazione. Ma c’è di peggio. Il Consiglio Costituzionale, soprannominato dal giornalista Olivier Berruyer su Elucid “casa di riposo dorata per ex politici“, che non batte ciglio e boccia a due riprese persino la richiesta delle opposizioni di un referendum popolare mentre non tro…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.