L’istruzione in una società post-crescita

Il sistema produttivo dei Paesi industriali, con la sua crescita ormai ferma, produce una valanga di “scarti umani”: una gran fetta di giovani si percepisce così, ed è tanto depressa, scoraggiata e disorientata da non provare nemmeno ad entrarvi. Mentre per quelli che si inseriscono nel sistema – o almeno ci provano – ansia, malessere e frustrazione sono esperienze frequenti. La chiave di questo disagio profondo sta nel rapporto, ormai privo di senso, fra scuola, gioventù e sistema economico.

Il personaggio di Zerocalcare, protagonista di un celebre fumetto e da qualche anno anche di una serie TV che ha spopolato, è un giovane pieno di tic, fobie, manie ed insicurezze. Sono il risultato delle frustrazioni e delle ansie della sua gioventù, tormentata da un costante senso di inadeguatezza e dalla perenne ricerca di indipendenza economica e identità sociale. Una alluvione di statistiche conferma che Zerocalcare è una buona descrizione di molti dei nostri ragazzi e ragazze. E non è nemmeno tra quelli che se la passano peggio perché almeno lui prova a fare qualcosa, a differenza dei Neet, (Neither in Employment or in Education or Training). Si tratta dei giovani che non studiano e non lavorano. Secondo il recente rapporto Censis, in Italia nel 2020 erano 2,7 milioni. Nella classe di età 20-34 anni, il 29,3% del totale (primato europeo), ovvero il 5,1% in più rispetto all’anno precedente. Nel Mezzogiorno addirittura il 42,5%, quasi il doppio dei coetanei che vivono nelle regioni del Centro o nel Nord, comunque già parecchi (rispettivamente il 24,9% e il 19,9%). I disturbi mentali, soprattutto ansia e depressione, sono decollati tra i giovani. L′81% dei dirigenti scolastici di scuole per l’istruzione secondaria di secondo grado segnalava, nello stesso rapporto, che tra gli studenti sono sempre più diffuse forme di depressione e disagio esistenziale. Il 76,8% pensa che gli studenti vivano in una fase di sospensione, senza disporre di prospettive chiare per i loro progetti di vita. Per il 46,6% l’atteggiamento prevalente tra i propri studenti è il disorientamento.

Numeri di questo genere non sono di certo solo italiani. La Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Francia per esempio presentano un quadro di disagio giovanile per molti aspetti ancora più inquietante. Dal canto suo l’oriente estremo non se la passa meglio. In Corea del Sud il suicidio è la prima causa di morte tra 10 e 39 anni (Kirk 2016). In Giappone le stime sul numero di hikikomori variano dallo 0,5 al 2% della popolazione. Gli hikikomori sono persone che decidono di isolarsi dalla vita sociale per lunghi periodi di tempo. In genere sono adolescenti e giovani adulti che non escono dalla loro casa o dalla loro stanza per anni e non hanno contatti con amici e familiari. 

Questo quadro allarmante racconta che il sistema produttivo dei Paesi industriali produce una valanga di scarti umani, nel senso che una gran fetta di giovani sembra così depressa, scoraggiata, disorientata da non provare nemmeno ad entrarvi (Neet e hikikomori). Peraltro, per quelli che vi entrano – o almeno ci provano – ansia, malessere e frustrazione sono esperienze frequenti. Insomma, il disagio dei giovani ha dimensioni spettacolari ed è crescente.

A scuola di che?
Perché si è venuta a creare questa situazione? E come possiamo migliorarla? La mia risposta è che la scuola svolge un ruolo cruciale nel determinare il malessere giovanile e cambiarla radicalmente può contribuire molto ad alleviarlo. A scuola si imparano molte cose importanti, che sono elencate nei programmi, e molte altre cose non meno importanti che non compaiono in nessun programma. Si tratta di cose che la scuola dà per scontate e che in realtà sono vere e proprie scelte che veicolano precisi messaggi formativi. Tutto inizia il primo giorno di scuola a sei anni in cui i bambini devono stare seduti e in silenzio per 5 ore, il che naturalmente è incompatibile con il benessere di un bambino i 6 anni. Poiché i bambini sono abituati all’apprendimento attraverso il gioco – che implica parola e movimento – il messaggio che interiorizzano è dirompente per loro: per rendere bisogna soffrire. È il primo passo per la costruzione di una vita in cui saranno pronti a a…

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