A Hebron è in vigore l’oppressione permanente dei palestinesi

Dalle punizioni collettive alle tecniche di sorveglianza e riconoscimento facciale,  passando per le “sterilizzazioni” delle strade dalla presenza palestinese come le chiamano i soldati, ogni “misura temporanea di sicurezza” che istituzioni e coloni israeliani testano su Hebron diventa poi uno strumento d’oppressione permanente imposto sull’intera Cisgiordania. Per usare le parole di Issa Amro, leader della resistenza non violenta nella regione, Hebron è il “laboratorio dell’occupazione”.

Erano passate solo poche ore dall’inizio dell’attacco di Hamas nel sud di Israele, il 7 ottobre scorso, quando Issa Amro, tra i leader della resistenza non violenta nella Cisgiordania occupata, è stato circondato da soldati e coloni armati all’ingresso di casa sua e arrestato. “Sono stato portato in una base militare vicina, dove mi hanno torturato e violentato per dieci ore” racconta Amro, mentre guarda l’orizzonte dalla sua casa nel cuore della città vecchia di Hebron. Le ferite subite hanno causato danni permanenti ai nervi che richiederanno un intervento chirurgico. “Non mi aspettavo di sopravvivere – continua Amro –;dopo avermi rilasciato, l’esercito israeliano ha imposto due settimane di coprifuoco totale nell’area dove vivo, impedendo ai residenti di procurarsi acqua e cibo.” Amro abita nella zona H2 di Hebron, l’unica realtà nella Cisgiordania occupata in cui la presenza di coloni è all’interno del centro urbano palestinese e non nelle valli circostanti. “È sempre più difficile stare in questa parte della città se sei palestinese – spiega indicando le varie aree dove si trovano gli insediamenti illegali ebraici –. A Hebron sono i coloni che dettano la legge. Dall’inizio della guerra la popolazione palestinese esce raramente dalle proprie abitazioni a causa delle continue vessazioni per mano dei coloni armati, a questo si aggiungono i rastrellamenti sempre più frequenti dell’esercito israeliano”.  

Tra i leader della lotta palestinese non violenta, Issa Amro è uno dei pilastri. È il principale organizzatore della campagna internazionale per la riapertura di via Shahada, oggi una strada vuota con centinai di negozi chiusi, dove viene negato il passaggio ai palestinesi “per motivi di sicurezza” ma che fino agli anni Novanta era la via del commercio più colorata di Hebron. Amro, 44 anni, ha trascorso gran parte della sua esistenza a denunciare gli effetti nefasti degli accordi “temporanei” firmati nel 1997 dal leader palestinese Yasser Arafat e dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per la spartizione della città nei settori H1 – l’80% del territorio, sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese – e H2, il restante 20%, sotto l’amministrazione israeliana. Di temporaneo però non c’è nulla in Cisgiordania ed Hebron non fa eccezione: qui la colonizzazione perdura indisturbata dal 1967. Circa 20.000 palestinesi e 800 coloni israeliani vivono nella zona H2 della città: questi ultimi sono protetti dal massiccio controllo militare israeliano. Vicino ad una Hebron viva, un po’ caotica ma accogliente, c’è una Hebron “fantasma”, per usare le parole di Amro. Sbarre, reti, filo spinato, torri di controllo, checkpoint, militari con armi cariche sparsi tra le strade e sui tetti delle case palestinesi, assediano giorno e notte la città.

“Dal 7 ottobre, non c’è più legge – prosegue Amro –. I soldati ci trattano come animali, le nostre vite non hanno valore, sparano alle persone senza motivo. L’ho detto e lo ribadisco, sono contro l’uccisione di ogni civile, la mia resistenza all’apartheid e all’occupazione militare è non violenta, ma è evidente che l’esercito israeliano sia in guerra con il popolo palestinese tutto, senza differenze, Hamas non è lo scudo dietro il quale nascondersi per portare avanti deliberatamente il processo di colonizzazione della Palestina”. Sebbene la chiusura totale che ha stretto la zona H2 di Hebron dopo il 7 ottobre si sia ultimamente [FD1] attenuata, in diversi quartieri della città i palestinesi non possono ancora uscire dopo le 18.30 dalla domenica al giovedì né lasciare le loro case il venerdì e il sabato. Le forze israeliane hanno aggiunto nuove recinzioni che bloccano gli spostamenti dei palestinesi all’interno della città e designato nuove strade accessibili s…

“L’Ucraina è il campo di battaglia su cui si gioca il futuro dell’Europa”. Intervista a Karl Schlögel

In un’intervista esclusiva rilasciata a margine della presentazione all’Ehess di Parigi del suo nuovo volume in francese sulla guerra in Ucraina – “L’avenir se joue à Kyiv. Léçons ukrainiennes” (“L’avvenire si gioca a Kiev. Lezioni ucraine”) –, lo storico tedesco Karl Schlögel evidenzia l’importanza per l’Europa della guerra di liberazione dell’Ucraina. “È il popolo ucraino, attaccato dalla Russia neo-totalitaria e dal russofascismo, a resistere in prima linea per l’Europa. Combattendo per la sua libertà, difende anche la nostra”.

La Bestia del nuovo fascismo. Intervista a Paolo Berizzi

Paolo Berizzi, giornalista di “Repubblica” che da anni conduce inchieste sul nuovo fascismo, ha recentemente pubblicato per Rizzoli il libro “Il ritorno della Bestia. Come questo governo ha risvegliato il peggio dell’Italia”. Il ritorno della Bestia non coincide con quello del fascismo storico ma con quello di un fascismo nuovo, pop, che però con il primo condivide alcune caratteristiche, le peggiori che l’Italia abbia espresso e continua a esprimere. Ne parliamo con l’autore, che vive da anni sotto scorta in seguito a minacce di gruppi neofascisti e neonazisti.

Libia, un Paese instabile alla mercé degli interessi stranieri

Il 16 maggio 2024 ricorre il decimo anniversario del lancio, da parte delle forze del generale Khalifa Haftar, dell’offensiva chiamata Operazione Dignità. Con l’occasione ripercorriamo le tappe fondamentali del decennio appena trascorso per contestualizzare lo stato attuale della Libia. O meglio, delle Libie.