La strage di Columbine, 25 anni dopo: come il diritto alimenta la cultura armata negli Stati Uniti

Dal 20 aprile 1999 quando ci fu la strage di Columbine a oggi, abbiamo assistito a un pauroso crescendo di violenza omicida fra gli adolescenti negli USA; alimentata da un diritto che non solo si rivela incapace di porre seri ostacoli all’uso delle armi – anche da guerra - da parte di giovani esaltati, problematici, sofferenti o semplicemente imbevuti di gun culture, ma che al contrario avalla con forza l’idea che le armi significhino libertà, possibilità di difendersi e, in fondo, essere dei veri americani.

Il 20 aprile 1999 il diciottenne Eric Harris e il diciassettenne Dylan Klebold, due studenti dell’ultimo anno della Columbine High School, in Colorado, scioccano l’America e il mondo intero per l’efferatezza con cui uccidono un insegnante e dodici loro compagni di scuola, ne feriscono altri ventuno e poi si tolgono la vita nella biblioteca della scuola. È l’attacco premeditato, all’interno del proprio liceo, di due ragazzi che usano una pistola semi-automatica avuta da un conoscente, e poi due fucili a canne mozze e una carabina legalmente acquistate per loro da un’amica diciottenne, per compiere un vero e proprio massacro. La normativa federale – cui all’epoca la legge del Colorado si adeguava – consentiva l’acquisto di armi dai privati, nelle fiere oppure online, senza alcun controllo preventivo sull’acquirente e, in caso di fucili o carabine, senza alcun limite relativo all’età di coloro che ne avrebbero poi preso possesso. Era stato incredibilmente facile, per Eric e Dylan, procurarsi le armi della mattanza.

Da quel giorno sono passati 25 anni, nel corso dei quali tanti altri ragazzi armati hanno realizzato imprese altrettanto o perfino più strazianti in altrettante scuole, sovente ispirandosi proprio a quell’eccidio. Già solo un mese dopo, il quindicenne TJ Solomon emulava Eric e Dylan dando vita a una sparatoria nell’Heritage High School a Conyers, in Georgia, che culminava con 6 feriti. Tante altre mattanze dovevano susseguirsi sull’onda dell’imitazione di quanto avvenuto quel 20 aprile del 1999. La pervasività del così detto “effetto Columbine” è stata, infatti, talmente imponente che le stragi nelle scuole americane sono oggi diventate parte della quotidianità e non fanno quasi più notizia. Everytown, un’organizzazione che mira a limitare il fenomeno, ha contato ben 720 conflitti a fuoco nelle scuole americane fra il 2013 e il 2022, mentre nel solo 2024, alla metà di aprile, le sparatorie a scuola hanno già raggiunto il numero di 50, con 16 morti e 35 feriti).

Gli unici riportati dai media nazionali e internazionali sono ormai quei casi di massacri scolastici che superano in atrocità il “modello” originario di Columbine. Fu così per la strage della Sandy Hook Elementary School del dicembre 2012, a Newtown in Connecticut, quando il ventenne Adam Lanza, equipaggiato con un fucile d’assalto e varie altre armi di proprietà della madre, dopo aver ammazzato quest’ultima, fece come da copione irruzione nella scuola elementare della città uccidendo 20 bimbi fra i sei e i sette anni e 6 adulti, per poi togliersi la vita. O l’eccidio della Marjory Stoneman Douglas High School a Parkland in Florida nel febbraio 2018, quando  il diciannovenne Nikolas Cruz scaricò il suo fucile d’assalto – legalmente acquistato da lui stesso un anno prima – sugli …

“L’Ucraina è il campo di battaglia su cui si gioca il futuro dell’Europa”. Intervista a Karl Schlögel

In un’intervista esclusiva rilasciata a margine della presentazione all’Ehess di Parigi del suo nuovo volume in francese sulla guerra in Ucraina – “L’avenir se joue à Kyiv. Léçons ukrainiennes” (“L’avvenire si gioca a Kiev. Lezioni ucraine”) –, lo storico tedesco Karl Schlögel evidenzia l’importanza per l’Europa della guerra di liberazione dell’Ucraina. “È il popolo ucraino, attaccato dalla Russia neo-totalitaria e dal russofascismo, a resistere in prima linea per l’Europa. Combattendo per la sua libertà, difende anche la nostra”.

La Bestia del nuovo fascismo. Intervista a Paolo Berizzi

Paolo Berizzi, giornalista di “Repubblica” che da anni conduce inchieste sul nuovo fascismo, ha recentemente pubblicato per Rizzoli il libro “Il ritorno della Bestia. Come questo governo ha risvegliato il peggio dell’Italia”. Il ritorno della Bestia non coincide con quello del fascismo storico ma con quello di un fascismo nuovo, pop, che però con il primo condivide alcune caratteristiche, le peggiori che l’Italia abbia espresso e continua a esprimere. Ne parliamo con l’autore, che vive da anni sotto scorta in seguito a minacce di gruppi neofascisti e neonazisti.

Libia, un Paese instabile alla mercé degli interessi stranieri

Il 16 maggio 2024 ricorre il decimo anniversario del lancio, da parte delle forze del generale Khalifa Haftar, dell’offensiva chiamata Operazione Dignità. Con l’occasione ripercorriamo le tappe fondamentali del decennio appena trascorso per contestualizzare lo stato attuale della Libia. O meglio, delle Libie.