Il lato oscuro degli algoritmi / Seconda puntata (PODCAST)

Gli algoritmi non sono “super partes” ma possono offrire risposte parziali che amplificano i pregiudizi della nostra società. Nella seconda puntata di questa serie di podcast indaghiamo i potenziali pericoli nell’utilizzo degli algoritmi.

Prima puntata – Lavorare per gli algoritmi
Nel “lavoro di piattaforma” in aziende come Amazon e Deliveroo tempi e retribuzione sono decisi da algoritmi. Tra precarietà e nuove forme di sfruttamento, le testimonianze di lavoratori ed esperti del settore: “Serve un nuovo contratto sociale per tutelare di più i lavoratori”.

Terza puntata – Algoritmi e social network
Dall’uso poco limpido dei dati raccolti alla manipolazione del dibattito provocata dagli algoritmi di ranking, Facebook e gli altri social network sono sotto accusa. In questa terza puntata del nostro podcast analizziamo come funziona “il capitalismo della sorveglianza” delle grandi aziende del web.

Quarta puntata – Algoritmi: il nostro futuro si scrive in Cina
Il giornalista Simone Pieranni ci illustra luci e ombre di tecnologie all’avanguardia che in Cina sono già realtà.


Quando pensiamo a un algoritmo, ci vengono in mente i sistemi che gestiscono Facebook, Google o altri grandi società digitali. Gli algoritmi sono qualcosa di astratto e lontano, che non riguarda il nostro quotidiano, se non quello che si trova dentro uno smartphone o un computer.

Invece da anni gli algoritmi sono presenti nelle pubbliche amministrazioni dei paesi occidentali, a volte sono stati al centro di scandali mentre altre volte lavorano in sordina. “Il problema dell’algoritmo sta in chi lo produce e con che finalità lo fa” racconta Alessandro Gandini, professore di “sociologia dei processi culturali e comunicativi” all’Università Statale di Milano, che si sofferma sulla parzialità degli algoritmi perché “in base agli input che dai offrono diverse risposte” aggiunge. Tecnologia e calcoli matematici pensiamo possano essere super partes mentre, come dice Gandini, non lo sono affatto.

Matteo Flora, un esperto di cybersicurezza e docente all’Università di Pavia, racconta di come in Inghilterra abbiano dovuto fermare un algoritmo per la selezione d’ingresso in un’università famosa: “Prediligeva alcuni ceti sociali invece che altri. Non lo faceva in modo diretto ma indiretto: chi veniva da determinate scuole aveva più punti, quelle scuole erano appannaggio solo dei ricchi che quindi avevano più facilità nell’accesso”.

La discriminazione spesso si basa anche sul colore della pelle, soprattutto quando si utilizzano tecnologie come il riconoscimento facciale e il riconoscimento vocale. “Le tecnologie che si basano sui dati biometrici sono pericolose perché sono pensate per riconoscere il singolo cittadino, ma si basano su calcoli matematici” racconta Diletta Huyskes, esperta di diritti digitali e responsabile dell’advocacy dell’associazione Privacy Network. “Questi sistemi amplificano i pregiudizi nella nostra società, che sono anche causa di violenze e ingiustizie perpetrate dalle forze dell’ordine” aggiunge Diletta Huyskes.

Alcuni paesi lungo le frontiere dell’Unione Europea, stanno sperimentando delle tecnologie di riconoscimento biometrico sui migranti che chiedono asilo e che vogliono entrare in Europa. Una di queste si basa sul tono della voce e dovrebbe capire se la persona sta mentendo oppure no, come in una moderna macchina della verità in cui i migranti sono le nostre cavie.

Ascolta “Il lato oscuro degli algoritmi / Seconda puntata” su Spreaker.

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.