Bruce Lee, cosa resta della sua eredità culturale a 50 anni dalla morte

A mezzo secolo dalla sua scomparsa, cosa resta del divo e campione cinese oltre ai suoi film sul kung fu? "Be water", era il motto di Bruce Lee, secondo cui siamo acqua che tutto penetra. Ma si può penetrare oggi tra le maglie dell'identità a tutti i costi, che sempre meno spazio lascia alla mutazione?
Bruce Lee

In Italia, la moda del cinema di kung fu non ha inizio con Bruce Lee, ma con un piccolo film intitolato Cinque dita di violenza, del 1972, subito famoso perché l’eroe con un colpo secco della mano trafigge i bulbi oculari del nemico. Altrettanto celebre diventerà il colpo corrispondente a difesa, con la mano rigida di taglio all’altezza del naso, per parare e respingere il tentativo di accecamento. Poi arriva Bruce Lee, e sopraggiunge subito la parodia con Franchi e Ingrassia, Ku fu? dalla Sicilia con furore, di Nando Cicero, del 1973.

Nelle periferie delle città italiane, accanto alle storiche palestre di boxe, e qualche scuola di judo o karate giapponese, iniziano a crescere come funghi i centri di addestramento di kung fu, dove la gioventù, di destra ma non solo, trova un ottimo esercizio fisico, una tecnica di combattimento e soprattutto una vera e propria filosofia dell’esistenza. Il motto dello stesso Bruce Lee, Be Water, è la sintesi della visione cinese della vita: l’acqua appare la cosa più fragile di tutte, ma è anche quella che con pazienza e perseveranza riesce ad abbattere qualsiasi ostacolo. Penetra ovunque. La disciplina dell’autocontrollo delle risorse del proprio corpo irrompe nell’immaginario italiano, e non solo. La gioventù si attrezza a sostenere il peso della vita. Si traccia un solco profondo tra apparenza e sostanza. Giovani individui apparentemente miti ed innocui sono in grado di sprigionare un’energia tale da spaccare i mattoni.

La prima cosa che adesso si osserva nell’interlocutore sono le nocche delle mani: se la pelle è secca e ridotta a un callo, è necessario fare attenzione a come si parla e ci si comporta. Chi si ha di fronte potrebbe infatti esplodere all’istante.

La figura di Bruce Lee, al di là dei film e dello spettacolo, rappresenta anche tutto questo. Se il malvivente comune ha l’obbligo di intimorire con il proprio aspetto, se deve spaventare a vista, il cultore di kung fu, l’emulo di Bruce Lee, è invece un Signor Nessuno. Anzi, nemmeno si nota, tanto è apparentemente dimesso. Nei film, specialmente i primi, a partire da Dalla Cina con furore, Bruce Lee viene spesso umiliato e sbeffeggiato dai cattivi, tanto il suo aspetto né preoccupa né allarma. Qualcosa di simile nel primissimo Clint Eastwood di Per un pugno di dollari, che Sergio Leone ha ripreso da un film giapponese di Akira Kurosawa, Jojimbo: vestito di un poncho dai fregi a labirinto (che lo stesso Leone dichiara di aver rubato a Goldoni e al suo Arlecchino servitore di due padroni), lo straniero di Eastwood è rigido e bloccato al sigaro che mastica per l’eter…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.