Il settembre del Cile, il settembre di Pablo Neruda

Settembre è il mese del Cile: il 4 l’elezione di Allende nel 1970; l’11 il golpe; il 16 il giorno in cui viene scoperto il corpo crivellato di Víctor Jara, il 18 è la giornata nazionale; il 23 la morte di Pablo Neruda che appena dodici giorni prima, all’alba dell’11 settembre, aveva ricevuto la telefonata di Allende che sarebbe dovuto andare a Isla Negra per incontrarlo: «C’è rumore di sciabole», disse il presidente.

“Compañero Pablo Neruda” grida un uomo alla testa del corteo funebre che accompagna la bara del poeta cileno: “Presente!” risponde la folla inconsapevole che militari in borghese stanno riprendendo le facce sgomente e umide di pianto dei partecipanti per schedarli, quindi rapirli, torturarli e magari farli sparire, come Marta Ugarte del Comitato Centrale del Partito Comunista cileno, in un volo della morte. Dopo la tortura, il corpo di Ugarte fu legato a un pezzo di binario di ferrovia, infilato in un sacco e poi gettato in mare da un elicottero affinché i pesci divorassero i resti, invece arrivò integro a Playa de la Ballenas; mani e piedi erano stretti dal filo spinato, ma gli occhi erano aperti, forse perché una bolla d’aria era rimasta nel sacco.

Settembre è il mese dell’equinozio australe, quando finisce l’inverno e inizia la primavera, quella che Neruda, nella sua poesia La patria prigioniera, definì “sommersa”. Settembre è il mese del Cile: il 4 l’elezione di Allende nel 1970; l’11 il golpe; il 16 il giorno in cui viene scoperto il corpo crivellato di Víctor Jara, il 18 è la giornata nazionale; il 23 la morte di Pablo Neruda che appena dodici giorni prima, all’alba dell’11 settembre, aveva ricevuto la telefonata di Allende che sarebbe dovuto andare a Isla Negra per incontrarlo: «C’è rumore di sciabole», disse il presidente. Qualche ora dopo il poeta ascoltava le ultime parole su radio Magallanes: «Compagni è il presidente che vi parla. La situazione è critica, è in atto un colpo di Stato che vede coinvolta la maggioranza delle Forze Armate».

«“È la fine”, dice Neruda alla sua terza moglie Matilde Urrutia che risponde “Non è vero, sarà un altro tentativo di golpe, il popolo non lo permetterà”[1]. Osservando con sconcerto la gente riversatasi in strada per festeggiare i golpisti, dopo aver detto che i militari sono «peggiori dei nazisti perché assassinano i propri compatrioti», Neruda si chiese: «Ma dove stavano i cileni capaci di fare tutto questo? E perché noi non li vedevamo?»[2].

L’ombra del condor
Pablo Neruda (all’anagrafe Ricardo Neftali Reyes) aveva avuto una vita straordinaria. Nato nel 1904, appassionato di letteratura e scrittura e per questo osteggiato dal padre, all’inizio della sua carriera di poeta fu sostenuto da Gabriela Mistral, Nobel nel 1945, sua insegnante di scuola. Per Garcia Marquez Neruda fu il più grande poeta del XX secolo in qualsiasi lingua. Harold Bloom lo ha inserito tra gli scrittori più rappresentativi del Canone Occidentale. Impossibile rendere conto qui di tutte le sue opere: da España en el Corazon a Canto General, da Alturas de Machu Picchu all’autobiografia pubblicata postuma Confieso que he vivido. Neruda fu anche un inventore della tradizione. Nella sua opera Fulgor y Muerte de Joaquín Murrieta fa una forzatura storica: Murrieta è stato un bandito alla Robin Hood nella California della corsa all’oro di metà dell’Ottocento. Tutte le evidenze storiche confermano che fosse messicano, anzi …

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.