Il maschilismo dei dati

La gran parte delle decisioni negli ambiti più disparati oggi viene presa a partire dai dati. Dati che però nella stragrande maggioranza riguardano solo ed esclusivamente gli uomini.

A febbraio 2023, un’indagine del Guardian sugli algoritmi di intelligenza artificiale utilizzati dalle piattaforme di social media, ha scoperto che molti di questi – sviluppati da grandi aziende tecnologiche, tra cui Google e Microsoft – hanno un pregiudizio di genere e potrebbero “aver censurato o oggettivato le foto dei corpi delle donne”. Un chiaro esempio di come si possa provocare una distorsione nella lettura dei dati, spacciandola per reale.

Cosa potrebbero avere mai di osé – hanno esemplificato i due giornalisti che hanno co-condotto l’inchiesta per il quotidiano britannico – le immagini pubblicate dal National Cancer Institute, che dimostrano come fare un esame clinico del seno? Nulla. Non per gli algoritmi di Google che hanno, al contrario, attribuito loro il punteggio più alto, in quanto “immagini esplicitamente sessuali”.

“L’algoritmo lo scrive una persona o un pool”, osserva Guido Scorza, componente del Garante per la privacy, “e, siccome ci stiamo tutti interrogando sulla eticità dei processi di elaborazione degli algoritmi, la circostanza che chi li produce debba garantire che in quei pool lavori una composizione eterogenea di donne, uomini, minoranze, potrebbe avere un senso”. Dunque, innanzi tutto, è necessario aumentare la presenza delle donne a partire dall’educazione e dalla formazione, dallo studio delle materie Stem. Ma, accanto a questo, Scorza lancia una idea: “Si potrebbe pensare a una regolamentazione per cui le società con un fatturato superiore ad una certa soglia e che operano nel settore IA debbano garantire che nei pool di sviluppo degli algoritmi ci sia una rappresentanza delle diverse componenti della società”. Come dire: vorremmo che delle “quote rosa” non ci fosse più bisogno ma a quanto pare ci servono ancora!

Il problema è che i dati possono discriminare anche (e, spesso, soprattutto) quando non vengono raccolti: sono tanti gli ambiti in cui mancano informazioni aperte, trasparenti e disaggregate per genere. Ad esempio, non ci sono numeri precisi su quante siano le persone con disabilità in Italia. O su quali siano i costi nascosti dell’allattamento al seno.

Cosa resta fuori dai dati? “Non tutto ciò che conta può essere contato”, spiega la ricercatrice e giornalista Josephine Condemi durante la tre giorni di Reclaim The Tech, il festival su diritti digitali e giustizia sociale: “Siamo sempre più abituati a interagire con degli schermi, dove ci sono dei corpi icona, dei corpi avatar. Ma quando togliamo gli occhi dallo schermo, cosa vediamo? I corpi materiali, i corpi reali delle persone. Che non possono essere ridotti a un…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.