Intelligenza artificiale a scuola: la formattazione delle nuove generazioni

Nella cornice della riforma della scuola che prevede l'utilizzo dei fondi del PNRR per la tecnologizzazione invasiva del sistema scolastico, l'introduzione dell'Intelligenza artificiale a scuola è forse la novità che dovrebbe inquietare di più in assoluto, perché la simulazione dei processi mentali di apprendimento e pensiero rischia di privare gli studenti della possibilità di sviluppare le proprie capacità cognitive e di pensiero critico, in un ambiente che necessariamente è relazionale, fatto di rapporti umani, sentimentali, emotivi con altre persone. Il rischio è quello di produrre una infantilizzazione di massa delle nuove generazioni, rubando loro la possibilità di crescita.

L’anno scolastico appena iniziato si caratterizza per l’introduzione di novità epocali nel sistema d’istruzione italiano. Una vera e propria conversione del paradigma pedagogico alla base delle attività di apprendimento degli studenti. La “riforma europea” della Scuola italiana – resa possibile dalle risorse a debito del PNRR – prevede infatti l’immissione massiva di tecnologie digitali di ultima concezione in ogni ordine di scuola: l’intelligenza artificiale a scuola. Cosa che comporterà una totale riqualificazione non soltanto dei mezzi ma inevitabilmente anche dei fini della Scuola.

Quest’ultimo aspetto sembra oggi molto trascurato dal dibattito d’ambito, tutto concentrato ad esaltare i presunti vantaggi che il “metodo tecnologico” apporterà in termini di svecchiamento dell’insegnamento. Ma che l’informazione nazionale apertamente e colpevolmente ignora, vista la funzione costituzionale rivestita dalla scuola: offrire un’istruzione di qualità che operi da leva sociale e solleciti l’atteggiamento critico indispensabile ad un’autentica partecipazione politica. La nuova destinazione che la scuola italiana mutuerà dalla riforma dovrebbe pertanto interessare ogni cittadino e istituzione, ben oltre l’ambiente ristretto dei pochi addetti ai lavori in cui la confina un’opinione pubblica ormai perennemente distratta dal metodo politico delle emergenze continue.

 Per restare all’aspetto didattico della riforma, tra le novità più controverse figura, come accennato, l’introduzione dell’Intelligenza Artificiale (AI) nelle normali attività di insegnamento e di apprendimento. Un vero e proprio rivolgimento educativo, le cui ricadute pedagogiche potenzialmente distruttive dello spirito di libertà della scuola nessuno sembra considerare con la dovuta attenzione. La comunicazione europea e ministeriale, infatti, ci propina l’adeguamento della scuola alla realtà tecnologica dei nostri giorni  semplicemente come “inevitabile”, un’alfabetizzazione avanzata rispetto ai nuovi scenari della produttività digitalizzata. Del resto, l’AI sembra rappresentare il punto di fuga verso il quale converge l’intero mondo tecnologico digitale, il passepartout capace di tenere insieme e far collaborare al meglio tutti gli altri dispositivi e programmi informatici: impossibile resisterle, né la scuola può restare indietro…

Queste motivazioni apparentemente ineccepibili nella loro linearità preconfezionata inibiscono la riflessione su tutta una serie di gravi questioni, preliminari eppure risolutive rispetto al tema, che la superficiale impostazione mediatica “tecnologie sì/tecnologie no” finisce invece per opacizzare. Viceversa, la preventiva disamina di alcuni elementari distinguo impedirebbe la riduzione del problema a quella comoda alternativa propagandistica e alla finta neutralità che sottende, contribuendo così a fluidificare un dibattito cristallizzato su poche, presunte ma comode verità.

La distinzione tra uso civile dell’AI e il suo impiego didattico
Nella vita privata la presenza di congegni che utilizzano l’AI incontra il favore crescente di una società vecchia e opulenta, come quella occidentale, che ha fatto della “comodità dei servizi” uno dei suoi idoli. Ma l’AI diventa sempre meno facile da arginare anche nel contesto pubblico e istituzionale, perché favorita da dinamiche economiche fortemente condizionanti. Nell’uno e nell’altro caso pare “non esserci scelta” alternativa al suo uso e le questioni etiche, pur enormi, sono poste in secondo piano rispetto alla prassi utilitaristica. Al contrario, l’utilizzo didattico delle tecnologie digitali (e dell’AI che ne è il compendio) costituisce una precisa scelta dei decisori politici la cui responsabilità non può essere diluita dietro presunte, impersonali e improcrastinabili esigenze della società. Gli effetti negativi che queste tecnologie produrranno sulla relazione educativa, l’istruzione e il benessere deg…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.