“Una notte osservavo come al solito il cielo col mio telescopio. Notai che da una galassia lontana cento milioni d’anni-luce sporgeva un cartello. C’era scritto: TI HO VISTO”. Così inizia Gli anni luce, penultimo racconto delle Cosmicomiche di Italo Calvino. Passato lo stupore, il protagonista, che non ha nome ma è identificabile come Qfwfq, il proteico personaggio che attraversa l’intero ciclo stagionale dell’universo, fa subito i suoi calcoli. Se la luce di quella galassia impiega cento milioni di anni a raggiungere il suo pianeta, vuol dire che da quell’altro pianeta l’hanno visto con altri cento milioni di anni di ritardo. Quel cartello deve quindi risalire a qualcosa che è accaduto duecento milioni di anni prima. Ora, Qfwfq si ricorda che duecento milioni di anni prima, proprio quel giorno, aveva fatto qualcosa di cui non era propriamente orgoglioso, fino a sperare poi che nessuno l’avesse visto, oppure che tutti se ne fossero dimenticati. Ma non era andata così e quel cartello ne era la prova.
Qfwfq deve quindi decidere come rispondere, perché ignorare l’avvertimento non si può. Quale scritta innalzerà a sua volta, anche sapendo che sarà vista solo dopo cento milioni di anni? All’inizio pensa a una strategia obliqua come: “Lasciate che vi spieghi” o magari: “Avrei voluto vedere voi al mio posto”, ma una risposta del genere è troppo difensiva. Pensa allora di provocare l’anonimo autore di quel cartello rispondendogli: “Ma hai visto proprio tutto o appena un po’?” O magari: “Vediamo se dici la verità: cosa facevo?”.
Ma non basterebbero duecento milioni di anni per ricevere una risposta. Le galassie, come si sa, dal Big Bang in poi non hanno mai smesso di allontanarsi l’una dall’altra. E siccome più si allontanano dal nucleo iniziale più aumenta la loro velocità, ci vorrebbero duecento milioni di anni più qualche milione ancora per poter continuare la conversazione, se di conversazione si può parlare. Qfwfq decide dunque di rispondere con un puro e semplice: “E con ciò?”. Un’alzata di spalle, insomma, che dovrebbe convincere quel tale dell’altra galassia che lui, Qfwfq, non è minimamente preoccupato di essere stato visto in quella circostanza non proprio ideale. Dopotutto, pensa Qfwfq, nella mia vita non ho molte cose di cui mi devo preoccupare o pentire, quello che ho fatto è sotto gli occhi di tutti e in gran parte parla a mio favore. Anche se laggiù si sono fatti un’opinione negativa di me, prima o poi se ne dimenticheranno o in qualche modo gli passerà.
Però c’è una cosa che lo preoccupa, e non è tanto quell’isolato cartello ma la possibilità che altri potrebbero averlo visto in quella circostanza infelice. Magari c’è un’opinione negativa nei suoi confronti che proprio in quel momento sta circolando nel vuoto cosmico, ingigantendosi e rifrangendosi da una galassia a un’altra. Così Qfwfq riprende a osservare l’universo temendo di trovare un altro “TI HO VISTO” su un’altra galassia. E infatti lo trova. E non solo uno, altri ne spuntano. Qfwfq non vuole cedere e risponde con sdegno: “Ah sì? Piacere”, “M’importa assai”, o anche “Tant pis”.
Ma i cartelli continuavano a spuntare, inclusi quelli che dicevano: “Ho visto il ti ho visto”. Bisognava correre ai ripari. Per esempio, c’era stato un giorno in cui Qfwfq aveva compiuto un’azione di cui era abbastanza orgoglioso. Magari era sufficiente a cambiare l’opinione che sulle altre galassie si erano fatti di lui. Poteva anche essere il momento giusto per tirarla fuori perché i cartelli “Ti ho visto”, “Pare che ti abbiano visto”, “Di là sì che ti hanno visto” continuavano a spuntare. Se l’attenzione nei suoi confronti era così alta, non bisognava perdere tempo e scatenare la controffensiva. Qfwfq di nuovo fa i suoi conti e trova la galassia in cui proprio quel giorno dovrebbe essere arrivata, insieme alla luce del suo pianeta, l’immagine di quell’azione virtuosa di cui poteva vantarsi. Ma invece di essere congratulato dagli abitanti di quell’altra galassia vede solo un cartello con su scritto: “Hai la maglia di lana”. È vero che qualcun altro aveva innalzato un cartello con su scritto: “Quel tizio sì che è in gamba”, ma perché “quel tizio”? Possibile che nessuno l’avesse riconosciuto? No, non era stato riconosciuto, tant’è vero che qualcun altro aveva alzato un suo cartello con su scritto: “Chi sarà?”. Sempre meglio di quell’altro che diceva: “Non si vede un accidente” o di tutti quegli altri cartelli che ora Qfwfq vedeva spuntare ovunque. Pareva proprio che ogni giorno della sua vita fosse stato osservato, soppesato e giudicato in modo negativo, o magari positivo, ma comunque mai decisivo, mai senza lasciare qualche margine di dubbio. Anche i giudizi positivi si riferivano alle occasioni sbagliate. Uno “Stavolta mi sei piaciuto” era stato scritto quando Qfwfq si era reso responsabile di una seria dimenticanza che gli aveva pure danneggiato la carriera.
Che fare? Meglio dimenticarsi del passato e concentrarsi sul futuro, preparandosi a rendere pubbliche tutte le occasioni in cui ci sarebbe stata la possibilità di fare una bella figura. Ma i rischi si presentavano lo stesso. E se dopo aver avvertito l’universo che qualcosa di importante stava per succedere, magari proprio quell’azione virtuosa andava a catafascio e otteneva risultati contrari alle aspettative? Come rimediare allora? No, meglio lasciar perdere e sperare nel progressivo aumento di velocità delle galassie più lontane. Prima o poi avrebbero superato la soglia della velocità della luce, 300.000 chilometri al secondo, e sarebbero scomparse nel buio dell’infinito, dove nessuna informazione le avrebbe raggiunte e da dove non avrebbero più potuto giudicare quello che non avrebbero mai visto.[1]
Ora, sostituiamo il cartello “TI HO VISTO” con un tweet (o un X), che dice: “MI HAI OFFESO”. Sostituiamo il cartello che dice: “Ho visto il ti ho visto” con un r…