Olimpiadi di Città del Messico, quando il Sessantotto entrò in pista e in pedana

55 anni fa si svolgevano le Olimpiadi di Città del Messico, quelle in cui il Sessantotto entrò anche in pista e in pedana. Gli atleti afroamericani Tommie Smith e John Carlos protestarono contro la discriminazione razziale, la ginnasta ceca Věra Čáslavská contro la repressione della Primavera di Praga. Tutti loro, tornati in patria, dovettero fronteggiare problemi e conseguenze per essere stati artefici di quegli atti di ribellione. Il tempo avrebbe riabilitato i coraggiosi atleti, consegnando le loro gesta sportive e il loro impegno politico e sociale alla storia, e non soltanto quella sportiva.

Sono l’evento sportivo più grande del pianeta, l’unico che coinvolge tutti i Paesi del mondo; per questo le Olimpiadi forniscono una vetrina internazionale difficilmente usufruibile in altri contesti, almeno non nella stessa misura. Di questo, con un certo anticipo sui tempi, si era accorto già il regime nazista e soprattutto il suo Ministro della propaganda, Joseph Goebbels. I Giochi di Berlino 1936, com’è noto, furono infatti i primi a carattere eminentemente politico, abilmente sfruttati da Adolf Hitler per legittimare le sue aspirazioni a soli tre anni dalla presa del potere. Un ruolo fondamentale fu giocato dai mass media allora in ascesa, tra cui il cinema, grazie al film di Leni Riefenstahl Olympia, che costituisce ancora oggi una pietra miliare e un punto di riferimento per chiunque voglia raccontare lo sport attraverso la settima arte. E pensare che quell’edizione era stata assegnata alla Germania nel 1931, quando il Paese era una democrazia liberale, quella costruzione politica passata alla storia come Repubblica di Weimar.

Oltre a Berlino 1936, c’è stata un’altra edizione delle Olimpiadi distintasi particolarmente dal punto di vista politico: Città del Messico 1968. Ma se i Giochi tedeschi si caratterizzarono per la loro componente politica imposta dall’alto, per veicolare valori – per usare un eufemismo – conservatori, i Giochi messicani lo furono altrettanto dal basso, per impulso degli atleti, che usarono quella vetrina per veicolare le loro istanze progressiste. Il Sessantotto giungeva, così, anche in pista e in pedana.

Ma prima di piste e pedane, il Sessantotto in Messico si era propagato nelle piazze, spesso invase dai partecipanti al Movimiento Estudiantil, il movimento studentesco messicano. E il 2 ottobre di quell’anno, solo dieci giorni prima dell’inizio del grande evento, i manifestanti si erano riversati nelle strade al grido di ¡No queremos Olimpiadas, queremos revolución! (“Non vogliamo le Olimpiadi, vogliamo la rivoluzione!”), protestando contro l’autoritarismo del PRI (Partido Revolucionario Institucional) allora al potere e contro le sue ingenti spese di denaro pubblico per finanziare i Giochi. Quelle Olimpiadi costituivano sì una vetrina per gli studenti, che potevano così sfruttare l’attenzione planetaria posta sul loro Paese, ma anche per lo stesso PRI, che voleva sfruttare l’evento a scopo politico.

Consapevole delle proteste allora in corso nel Paese, per sedare ogni rivolta e garantire il regolare sviluppo della rassegna a cinque cerchi, aveva addirittura allestito un reparto speciale per reprimere la contestazione, il Battaglione Olympia, composto da soldati dell’esercito, agenti di polizia e agenti di sicurezza federali. Al termine di quel giorno, di quel 2 ottobre 1968, i manifestanti pacifici e disarmati confluirono in Piazza delle Tre Culture, dove l’esercito e il battaglione entrarono con blindati e veicoli militari sparando sulla folla. Tra i feriti, anche Oriana Fallaci, quel giorno presente sul luogo in cui avvenne la strage rimasta negli annali come Massacro di Tlatelolco. 50 i decessi ufficiali, 300-400 quelli stimati. In un bagno di sangue, il movimento studentesco era stato stroncato e – messe a tacere proteste e rivendicazioni – lo svolgimento dei Giochi garantito.

Ma anche a nord del Me…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.