Più che la verità, come si suole dire in questi casi, la prima vittima della guerra scatenata da Putin in Ucraina è stata la Storia. Il carattere anacronistico, per certi versi bizzarro, della decisione del presidente della Federazione Russa di invadere la nazione confinante è ben esemplificato dall’articolo-saggio Sull’unità storica di russi e ucraini, scritto proprio da Vladimir Putin per giustificare le sue mosse e negare implicitamente il diritto all’autodeterminazione della comunità di persone che vivono tra L’viv e Donec’k, tra Kyiv e Odesa, quando non l’esistenza stessa di una comunità siffatta. Un’operazione di revisionismo forse neanche imperialistica, ma imperiale tout court: un gesto che rimanda a una concezione della sovranità quasi ottocentesca e che riconduce, dopo più di mezzo secolo dal secondo conflitto mondiale, la realtà della guerra al puro espansionismo territoriale e alla volontà di assimilazione attraverso gli strumenti del dominio culturale e linguistico. Con una circonvoluzione retorica che sarebbe ironica qualora non si trattasse del preludio a eventi tragici, Putin si è poi spinto oltre col suo discorso del 22 febbraio 2022, in cui ha sostanzialmente definito l’Ucraina “un’invenzione di Lenin” – distorcendo la figura del rivoluzionario bolscevico morto un secolo fa il quale, se da un lato ha messo effettivamente al centro dei suoi ragionamenti il principio di autodeterminazione dei popoli, dall’altro assieme ai bolscevichi è andato di fatto parzialmente negando questo stesso principio proprio nel contesto della guerra civile del 1917-22 che aveva tra le sue questioni più cruciali quella dell’indipendenza dell’Ucraina.
Volendo aggiungere un altro strato di ironia, si potrebbero aggiungere le parole della storica Sheila Fitzpatrick, che nel suo Breve storia dell’Unione Sovietica fa notare come Putin non solo è un “autentico prodotto della città di Lenin” (Leningrado, ovvero l’attuale San Pietroburgo, dove Putin ha iniziato la sua carriera politica a fianco dell’ex-sindaco Anatolij Sobčak) ma anche può vantare un tenue vincolo familiare con il leader dei bolscevichi, dal momento che il nonno del presidente russo aveva lavorato come cuoco per la vedova di Lenin negli anni Venti: “Fossero stati ancora tempi sovietici, qualcuno avrebbe sicuramente fatto notare che il nipote di un cuoco a capo del governo era il coronamento della profezia pronunciata da Lenin in Stato e rivoluzione”, scrive Fitzpatrick.
Al di là dei parallelismi e delle profezie che mutano di segno, comunque, non è così peregrino affermare che la guerra che si sta combattendo in questo momento in Ucraina sia anche un conflitto sul senso della storia, più o meno recente, e sul valore della memoria che si vuole attribuire a quel complesso di eventi che ha visto i destini delle comunità dei territori ucraini e russi intrecciarsi e scontrarsi in un teatro di rivoluzioni, terrore genocidario, guerre di diversa natura, lotte comuni e dispute politiche e culturali. Non è un caso che, sempre nel suo discorso di avvio dell’invasione su larga scala, Putin abbia anche detto di voler mostrare all’Ucraina “che cosa significa una vera decomunistizzazione”, riferendosi a quel processo di cesura simbolica con il passato sovietico che è stato messo in campo dal governo di Kyiv con le prime rivoluzioni degli anni Duemila e che si è accelerato con le più recenti vicissitudini.
L’eredità (mancata) di Lenin
Sono infatti trascorsi d…