USA, diminuisce la violenza ma la polizia uccide di più

Nel 2023 i poliziotti americani hanno ucciso più persone di quante ne abbiano uccise negli anni precedenti, un incremento in alcun modo giustificabile, anche alla luce del fatto che il tasso di violenza della società americana è in diminuzione. Tre anni e mezzo dopo le grandi proteste per l’omicidio di George Floyd, gli Stati Uniti sono tornati alla placida accettazione dell'ingiustizia sistemica. Ma c’è del marcio non solo a Washington.

Negli USA i poliziotti ammazzano di più mentre gli omicidi, nel complesso, continuano a diminuire.

Il 2023, in questo senso, è stato un anno record: 1341 persone uccise, secondo un conteggio tutt’altro che semplice da effettuare e in continuo aggiornamento. Sono solo 14 i giorni dello scorso anno in cui la polizia non ha compiuto omicidi. E nel mese appena passato si contano già 71 morti (aggiornamento al 30 gennaio) A farne le spese sono soprattutto gli afroamericani e a essere più infestate di cops e sceriffi killer o abusanti non sono le grandi città ma le zone rurali. E solo in pochi episodi gli agenti si trovano poi a rispondere delle loro azioni. Dal 2013 al 2022, il 98% delle uccisioni da parte della polizia non ha portato a un’incriminazione degli agenti. Si chiama Mapping Police Violence l’organizzazione che ogni anno produce un rapporto su questo genere di violenza essenziale per il mantenimento dei rapporti sociali nell’epoca del più violento dei modi di produzione, il neoliberismo. La natura insita nella violenza istituzionale che la polizia esercita sui cittadini è duplice: se da un lato è l’espressione più lampante dell’oppressione dall’alto verso il basso della società, dall’altro è anche uno dei conflitti orizzontali, così essenziali al sistema per mistificare la reale origine della violenza.

Se il 2023 è stato l’anno più letale per gli omicidi commessi dalle forze dell’ordine in oltre un decennio, il numero più alto di omicidi da quando è iniziato il monitoraggio nazionale nel 2013, i dati suggeriscono una crisi sistemica e uno schema coerente, con una media di circa tre persone uccise dagli agenti ogni giorno, con lievi aumenti negli ultimi anni.

Piombo, taser, pestaggi e soffocamenti

Mapping Police Violence ha registrato 139 morti in più rispetto alle 1.202 persone uccise nel 2022 (nel 2021 sono state 1148, 1.160 nel 2020 e 1.098 nel 2019). I numeri includono le vittime di sparatorie, così come le persone colpite mortalmente da una pistola taser, picchiate o immobilizzate. Avvertenza: il conteggio è provvisorio (questo stesso articolo è stato ritoccato nei pochi giorni intercorsi tra la consegna e l’editing) e i casi potrebbero essere aggiunti man mano che il database viene aggiornato.

Tra i casi più noti del 2023 ci sono il pestaggio mortale di Tyre Nichols a Memphis, il “tasing” di Keenan Anderson a Los Angeles e l’uccisione a Lancaster, in California, di Niani Finlayson, che aveva chiamato il 911 per chiedere aiuto per una violenza domestica. “Ci sono state altre centinaia di persone che hanno attirato meno attenzione, tra cui Ricky Cobb, ucciso da un poliziotto del Minnesota dopo essere stato fermato per un’infrazione al fanalino posteriore; Tahmon Kenneth Wilson, disarmato e colpito da un proiettile fuori da un dispensario di cannabis della Bay Area, e Isidra Clara Castillo, uccisa quando la polizia di Amarillo, in Texas, ha sparato contro un’altra persona che si trovava nella sua stessa auto”, segnala Sam Levin dalle colonne del Guardian.

Ma perché un tasso di omicidi commessi dalla polizia con un ordine di grandezza superiore a quello di altre nazioni comparabili e proprio in un anno che ha registrato una significativa diminuzione degli omicidi, -13%, che sembra essere la più grande mai registrata da un anno all’altro, con i rapporti che hanno inoltre segnalato la riduzione anche di altri crimini violenti?

“La violenza sta diminuendo a un ritmo senza precedenti, ma a fare eccezione sembra essere la polizia, che ogni anno si rende protagonista di un aumento della violenza”, ha dichiarato al Guardian Samuel Sinyangwe, analista politico fondatore di Mapping Police Violence”, è evidente che molte delle promesse e delle azioni fatte dopo l’omicidio di George Floyd non sembrano aver ridotto la violenza della polizia a livello nazionale”.

“E così, tre anni e mezzo dopo l’estate del ‘no justice, no peace’, siamo tornati alla tranquilla accettazione dell’ingiustizia sistemica”, scrive anche Elie Mystal, corrispondente di The Nation in materia di giustizia e conduttore del podcast legale Contempt of Court.

Nel maggio 2020, George Floyd fu soffocato a morte per 10 minuti davanti alle telecamere dall’agente di polizia Derek Chauvin. L’omicidio ha scatenato la più grande protesta per i diritti civili dagli anni Sessanta. “Per un breve momento, i bianchi hanno affermato di aver ‘aperto gli occhi’ sulla realtà della violenza e della brutalità della polizia in questo Paese. Le aziende, le organizzazioni dei media e le università si impegnarono ad adottare politiche più inclusive in materia di assunzioni e rappresentanza. I politici hanno promesso riforme reali per rispondere alle richieste dei manifestanti”, ricorda Mystal, che già nel giugno di quell’anno, poche settimane dopo l’omicidio, aveva previsto che “tutta la presunta ‘solidarietà’ da parte di ‘alleati’ imprenditoriali o politici era una stronzata da bianchi. Ho spiegato che i bianchi capiscono (consapevolmente o meno) che la polizia è lì per proteggere loro, il loro privilegio e il loro potere. Ho detto che i bianchi sono fondamentalmente disposti a sacrificare persone di colore innocenti alle grinfie assassine della polizia, se questo assicura la loro continua supremazia”.

“Copaganda” anziché riforme sistemiche

In effetti, il sostegno del pubblico bianco alle proteste si è dissipato prima ancora che l’estate finisse. I programmi di inclusione e diversità redatti in risposta alle proteste sono stati demoliti con gioia dai difensori della supremazia bianca. Una riforma significativa della polizia è morta negli Stati di tutto il Paese, al Congresso e sulla scrivania del senatore Joe Manchin. E i media e Hollywood hanno ripreso la loro regolare programmazione di copaganda, neologismo che fonde cops e propaganda.

La mancanza di riforme sistemiche e la continua espansione delle forze di polizia contribuiscono a sostenere i tassi elevati di violenza estrema. I sondaggi – un copione abbondantemente recitato anche qui in Italia – mostrano che la maggior parte degli americani ritiene che il crimine sia in aumento e, tra le preoccupazioni degli elettori per la sicurezza e la violenza, le municipalità hanno continuato ad aumentare i bilanci della polizia.

Monifa Bandele, un’attivista del gruppo dirigente del Movement for Black Lives, ha affermato che, se i governi statali e locali continueranno a fare affidamento sulla polizia per affrontare le crisi di salute mentale, le dispute domestiche e altri problemi sociali, le uccisioni continueranno: “Più polizia si mette in strada per interagire con i membri della mia comunità, maggiore è il rischio di danni, abusi e morte”.

Le circostanze delle uccisioni del 2023 rispecchiano le tendenze del passato. L’anno scorso, 445 persone uccise dalla polizia, pari al 36% di tutti i casi, stavano fuggendo. In tutto il Paese sono stati effettuati sforzi per impedire alla polizia di sparare alle auto e alle persone in fuga, riconoscendo il pericolo che ciò costituisce per il pubblico. Ma i tassi sono rimasti costanti negli ultimi anni, con un omicidio su tre che coinvolge persone in fuga.

Anche i motivi alla base degli scontri sono coerenti. Nel 2023, 139 omicidi (11%) hanno riguardato la denuncia di una persona che era stata vista con un’arma; 107 (9%) sono iniziati come violazioni del codice della strada; 100 (8%) sono sfociati a partire da controlli sulla salute mentale o sull’assistenza sociale; 79 (6%) si sono verificati in casi di disturbi domestici; 73 (6%) sono stati inerenti casi in cui non è stato denunciato alcun reato; 265 (22%) hanno riguardato altri presunti reati non violenti; 469 (38%) hanno riguardato denunce di reati violenti o crimini più gravi.

“La maggior parte dei casi non ha avuto origine dalla denuncia di crimini violenti. La polizia viene abitualmente chiamata in situazioni in cui non era presente alcuna violenza finché non è giunta sul posto facendo poi degenerare la situazione”, ha detto Sinyangwe al Guardian.

Nel 2023, in controtendenza con gli anni passati, ci sono state più uccisioni da parte della polizia nei territori rurali (319 casi, pari al 26% del totale) che in quelli urbani (292 casi, pari al 24%); il resto delle uccisioni è avvenuto in aree suburbane, con una manciata di casi indeterminati. 

I dipartimenti degli sceriffi di contea, che tendono ad avere giurisdizione su aree più rurali e suburbane e a essere soggetti a meno controlli rispetto a quanto avviene nelle grandi città, sono stati responsabili del 32% delle uccisioni lo scorso anno; 10 anni prima, gli sceriffi erano coinvolti solo nel 26% dei casi. “Le possibilità di ritenere responsabili i poliziotti delle piccole città, quando uccidono le persone al buio, in aree spopolate e senza testimoni, e quando le uniche persone che possono perseguirli sono i loro amici, cugini o fratelli nell’ufficio del procuratore distrettuale locale, sono quasi nulle”, scrive Mystal.

Chi ha la pelle nera muore di più

Anche nel 2023, le persone di colore sono state uccise a un tasso 2,6 volte superiore a quello dei bianchi, secondo quanto rilevato da Mapping Police Violence. L’anno scorso, 290 persone uccise dalla polizia erano di colore, il 23,5% delle vittime, mentre i neri americani rappresentano circa il 14% della popolazione totale. I nativi americani sono stati uccisi a un tasso 2,2 volte superiore rispetto ai bianchi e i latinos a un tasso 1,3 volte superiore.

Dal 2013 al 2023, il 39% delle persone di colore uccise dalla polizia stava fuggendo, tipicamente correndo o guidando. Questa percentuale è del 35% per i latinos, del 33% per i nativi americani, del 29% per i bianchi e del 22% per gli americani di origine asiatica.

Albuquerque e il New Mexico hanno registrato i tassi di mortalità più elevati. Secondo quanto rilevato da Mapping Police Violence, l’anno scorso la polizia in New Mexico ha ucciso 23 persone, facendolo così diventare lo Stato con il più alto numero di vittime pro capite, con un tasso di 10,9 uccisioni per milione di residenti.

Ad aprile, gli agenti di Farmington si sono presentati nella casa sbagliata e, quando ha aperto la porta con una pistola, ne hanno ucciso il residente, Robert Dotson. A novembre, un agente di Las Cruces, vicino al confine, ha sparato fatalmente a Teresa Gomez dopo averle chiesto perché fosse parcheggiata fuori da un complesso di case popolari.

Albuquerque, la città più popolosa del New Mexico, si colloca anche al primo posto per numero di omicidi pro capite tra le 50 città più grandi del Paese. La polizia di Albuquerque ha ucciso sei persone nel 2023, mentre molte città con popolazioni sostanzialmente più grandi, tra cui San Jose e Honolulu, l’anno scorso hanno visto morire un solo civile per la stessa causa. La cultura delle armi nello Stato, in particolare nelle aree rurali, potrebbe costituire un fattore che spiega gli alti tassi di violenza della polizia.

Poche città in controtendenza

Come sottolineato anche in apertura, dal 2013 al 2022 il 98% delle uccisioni da parte della polizia non ha portato a un’incriminazione degli agenti. E questo, come ha detto al Guardian Joanna Schwartz, docente di legge dell’Università della California di Los Angeles, esperta nell’elusione da parte degli agenti delle proprie responsabilità per cattiva condotta, contribuisce al costante tasso di violenza: “Nonostante l’attenzione tenuta dall’opinione pubblica sugli omicidi della polizia negli ultimi anni e l’impegno senza precedenti da parte della comunità, è davvero tutto come al solito. Ciò significa un’enorme discrezionalità concessa alla polizia nell’usare la forza ogni volta che lo ritiene appropriato, una supervisione federale e statale molto limitata e accordi sindacali in tutto il Paese che rendono molto difficile indagare, disciplinare o licenziare efficacemente gli agenti”.

Qualche buon risultato comunque è stato registrato: per esempio, in alcune città con una storia di brutalità della polizia si è verificato un numero ridotto di uccisioni nel 2023. La polizia di St. Louis ha ucciso una sola persona lo scorso anno, mentre quelle di Minneapolis, Seattle e Boston non si sono macchiate di alcuna uccisione. Questo perché i programmi di prevenzione della violenza della comunità hanno contribuito a ridurre la dipendenza dalla polizia e a limitare l’esposizione delle persone vulnerabili a incontri potenzialmente letali. Denver ha ricevuto attenzione a livello nazionale per il suo programma che prevede l’invio di soccorritori civili alle chiamate riguardanti la salute mentale al posto della polizia. L’anno scorso un quartiere di Brooklyn ha sperimentato l’invio di soccorritori civili alle chiamate al 911.

“Ogni settimana qualcuno che ha bisogno di cure mentali viene ucciso dalla polizia”, ha detto Bandele. “Ma ci sono modi alternativi per rispondere”.

“Non dovrebbe sorprendere”, riprende Mystal su The Nation, “che i neri siano stati i più esposti al pericolo di questi agenti assassini. I neri hanno rappresentato il 26% delle morti, nonostante siano solo il 14% della popolazione. In effetti, le statistiche hanno mostrato che i neri hanno una probabilità 2,6 volte maggiore di essere uccisi dalla polizia rispetto ai bianchi”. Alcuni esempi: la citata Niani Finlayson è stata colpita mortalmente da un agente di polizia di Los Angeles pochi secondi dopo il suo arrivo sul posto per rispondere a una chiamata relativa alla violenza domestica da lei fatta. Leonard Allan Cure, che ha trascorso 16 anni in prigione per un crimine che non aveva commesso, è stato scagionato e ucciso dalla polizia durante una sosta.

Solo gli asioamericani hanno meno probabilità di essere uccisi dai poliziotti rispetto ai bianchi.

Ultima avvertenza da parte dell’editorialista di The Nation, settimanale storico della sinistra USA: “questo rapporto tiene conto solo del numero di morti causate dalla polizia; non tiene conto dei tentativi di omicidio. Non tiene conto dei pestaggi o delle aggressioni sessuali. Non tiene conto delle molestie razziali o dei falsi arresti. Questo rapporto non tiene conto delle persone che sono miracolosamente sopravvissute all’incontro con la polizia predatrice e ne sono uscite con solo arti rotti, polmoni perforati o cicatrici psicologiche a vita. Questa è la forza di polizia che l’America bianca vuole: violenta e non responsabile”.

Qualunque cosa accada nel 2024, una cosa è certa: La polizia ucciderà ancora più persone, queste persone saranno sproporzionatamente nere e nessuno la fermerà.

Non solo USA: il caso della Met Police britannica

Non è certo solo un problema americano. Ecco per esempio quanto scrive sulla Gran Bretagna Maya Oppenheim: “Dalla perquisizione a tappeto, al mettere sottosopra la vostra casa rovistando tra i vostri oggetti più personali, al frugare nel vostro telefono o computer portatile, al raccogliere testimonianze su di voi nel momento di massima vulnerabilità, al mettervi allo spiedo, al taser, fino all’arresto – o addirittura alla sparatoria – i poteri della polizia sono profondi e di vasta portata. Per questo motivo, la violenza da essa perpetrata assume una gravità di proporzioni astronomiche”. L’autrice di queste parole si occupa di questioni di genere sull’Independent e ha recentemente pubblicato un libro intitolato The Pocket Guide to the Patriarchy, che include un capitolo sulla polizia.

Secondo Oppenheim lo spirito di corpo rende la polizia “la più grande gang della Gran Bretagna”, le cui violenze e abusi sono facilitati dalla sua natura chiusa e settaria.

Nel 2022 ha intervistato l’ex capo della polizia di Nottingham, Sue Fish, che ha ammesso come “lo spirito di corpo non fa trapelare nulla, l’appartenenza è così forte che uscirne è un suicidio professionale e sociale”. “Gli agenti spesso socializzano insieme”, ha aggiunto, “fanno sport insieme. Sono nella stessa squadra di calcetto. Molte delle loro vite sono intrecciate con altri agenti di polizia. Molti incontrano i loro partner anche attraverso il lavoro”.

Quando Wayne Couzens – un agente della Met (la polizia metropolitana britannica) – si è servito delle restrizioni per il coronavirus come scusa per arrestare ingiustamente Sarah Everard, 33 anni, dirigente del settore marketing, prima di rapirla, stuprarla, strangolarla e ucciderla nel marzo 2021, la polizia ha cercato di prendere le distanze da lui. L’ex detective Simon Harding, che ha indagato su questo caso, ha dichiarato: “Non ha gli stessi valori di un agente di polizia, non ha la nostra stessa personalità. È un individuo molto malato e pericoloso che non avrebbe mai dovuto avvicinarsi a un’uniforme”. Ma in seguito è emerso che i colleghi di Couzens – che lo avevano soprannominato “lo stupratore”, mentre la polizia non aveva indagato su numerosi episodi di atti osceni – avevano condiviso con lui materiale razzista, misogino e omofobico su Whatsapp.

Nell’ambito dell’inquietante caso di David Carrick, stupratore seriale della Met Police, la polizia è stata informata di otto presunte aggressioni a donne tra il 2000 e il 2021. Per oltre due decenni, non è stata formulata alcuna accusa contro Carrick, dopo che le donne coinvolte si sono ritirate dalle indagini o hanno deciso di non procedere con denunce formali. Alla fine l’agente è stato dichiarato colpevole di aver violentato e aggredito almeno 12 donne e condannato a 30 anni di carcere.

Il rapporto Casey, pubblicato nel marzo dello scorso anno e commissionato in seguito all’omicidio di Everard, ha concluso ciò che molti già credevano: la Met Police è istituzionalmente razzista, misogina e omofoba. Il report ha inoltre rilevato che una “cultura negazionista” ha permesso ai predatori di prosperare e agli agenti di esercitare la loro posizione di potere a fini sessuali. Fish, che è andata in pensione nel 2017, ha detto che gli agenti di polizia perpetrano abitualmente “uno spaventoso bullismo e un vuoto di memoria” quando gli agenti accusano i colleghi di sessismo e reati sessuali. Inoltre, parlando con Oppenheim, ha detto che la polizia “si sente così oppressa dalla società e dai media di sinistra”.  Troppo spesso si ha l’impressione che la polizia abbia un approccio “noi contro loro”, in cui il suo mondo finisce ai confini della polizia. E’ quella che viene chiamata, dalla stessa polizia, la “sottile linea blu”, quella che impedirebbe alla società di sprofondare nel caos. Oppure, vista con altri occhi, è quella linea dietro cui gli apparati di “sicurezza” si costruiscono quell’impunità così indispensabile nei casi di malapolizia.

“Gli stupratori e gli assassini della polizia fanno parte di un sistema che è razzista, misogino e violento fino al midollo – e che è sostenuto da una cultura negazionista, di copertura reciproca e di elusione delle responsabilità”, conclude Oppenheim. “Per contrastare tutto ciò, dobbiamo continuare a spingere per una maggiore responsabilità in risposta a ogni tipo di violenza della polizia. Non dobbiamo permettere che i poliziotti ne invochino di meno”.

I gendarmi francesi, i più feroci d’Europa

Anche nel Vecchio Continente, di tanto in tanto, sembra accadere qualcosa che incrina la “linea blu”. Per esempio, il 10 ottobre scorso, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa si è detta “particolarmente preoccupata” per il “numero elevato di feriti durante le manifestazioni” in Francia, invitando il governo francese a “riformare gli ispettorati di polizia e gendarmeria” e a “migliorare il trattamento penale dei casi di violenza illegittima”. Ma poi la “linea blu” si ricostituisce, più forte di prima, proprio in virtù della sua estrema funzionalità. La polizia francese è ancora la più feroce in Europa nei confronti dei movimenti sociali e degli emarginati.

E, per finire da dove avevamo cominciato, negli Stati Uniti il simbolo della linea blu, non a caso, è stato adottato da suprematisti bianchi, nazisti e alt-right (che si fanno accompagnare dallo slogan “Blue lives matter”). Simbolo che è stato avvistato anche nell’assalto al Campidoglio di Washington del 6 gennaio 2021.

CREDITI FOTO: EPA/JASON SZENES

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.