Le origini del fascismo nell’idea di nazione

L’assorbimento delle masse contadine e operaie nella nazione, prima attraverso le squadracce, poi attraverso il corporativismo e il dominio ideologico, pratico e violento della borghesia sul proletariato, fu la base con cui il regime fascista costruì ed esercitò il suo dominio autoritario. Allora ogni democrazia dovrebbe compiere l’operazione inversa a quella compiuta dal fascismo agli inizi del secolo scorso: non l’assorbimento delle masse nella nazione bensì l’assorbimento di ogni volontà di potenza dei vari gruppi sociali e umani nell’idea e nella prassi democratiche.

Sembra che i futuri dittatori, quando ancora non sono nessuno, almeno un pregio ce l’abbiano: la sincerità. Essi, come se non riuscissero a trattenersi, svelano le loro mire con precisione, quasi con pignoleria. Invece sembra che i loro avversari, soprattutto se democratici, abbiano un gran difetto: l’incredulità. Adolf Hitler, nel Mein Kampf, aveva già apparecchiato tutte le nefandezze che avrebbe servito ai tedeschi e al mondo: pochi della classe dirigente, soprattutto economica e militare, ci sputarono sopra; tanti, anche della classe dirigente politica, si accomodarono al banchetto; troppi non videro o non credettero al veleno che era stato loro imbandito. Lo stesso Benito Mussolini, prima della cosiddetta “marcia su Roma” del 28 ottobre 1922 che diede inizio al fascismo, con decine e decine di discorsi, scritti e atti, aveva precotto agli italiani le sue idiozie indigeribili: pochi della classe dirigente, soprattutto civile e militare, le rigettarono; tanti, anche della classe dirigente politica, con più o meno piacere le ingurgitarono; troppi non videro o non credettero alla tossina che era stata loro cucinata.

Il 28 dicembre 1914, a cinque mesi dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, si tenne una conferenza a Genova dal titolo “Il dovere dell’Italia”. Dopo anni di negazione della nazione e di internazionalismo proletario, tutti i partiti socialisti d’Europa, eccetto quello italiano, avevano risposto alla chiamata della patria in guerra e si erano stretti attorno alla bandiera. Mussolini, che poco prima si era convertito all’interventismo, e perciò era stato espulso dal Partito Socialista, partecipò ai lavori e dichiarò: “La nazione non è scomparsa. Noi credevamo che fosse annientata; invece la vediamo sorgere vivente, palpitante dinanzi a noi! E si capisce: la realtà nuova non sopprime la verità; la classe non può uccidere la nazione. La classe è una collettività di interessi, ma la nazione è storia di sentimenti, di tradizioni, di lingua, di cultura, di stirpi. Voi potete innestare la classe nella nazione, ma l’una non elide l’altra”[1]. Ciò che descrisse il futuro d…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.