Piano Mattei, è l’Italia che ha bisogno dell’Africa

A conti fatti, e considerate ancora molte incertezze in particolare riguardo alla produzione di energia, il Piano Mattei del governo Meloni non è poi una novità. Molti interventi erano già in essere, ma stavolta la percezione è che la cooperazione con i Paesi africani nasca dal bisogno che l'Italia ha dell'Africa, più che il contrario.

Si è aperto con una cena al Quirinale e si è concluso con una foto scattata dall’alto di un drone agli oltre settanta partecipanti. Per il summit del 28 e 29 gennaio scorsi, dal titolo “Italia-Africa. Un ponte per crescere insieme”, le istituzioni italiane hanno scelto come cornice l’Aula di Palazzo Madama, per dare solennità alla giornata. È lì che è stata presentata l’ossatura del Piano Mattei. L’Italia, di fronte alle sempre più pesanti influenze cinesi, russe, turche, indiane nel continente, prova a non rimanere ai margini, ad aprire e consolidare un canale diplomatico con l’Africa.

All’indomani del summit, però, a inseguirsi sui giornali e sui siti di informazione, più delle risposte erano le domande: che cosa prevede, a conti fatti, il Piano Mattei?

L’interesse italiano verso l’Africa non è nuovo. Già nel 2013, con il lancio dell’iniziativa “Italia-Africa”, si era cercato di rilanciare un rapporto con il grande continente. Da allora si sono susseguite visite bilaterali, tre conferenze ministeriali, l’apertura di nuove ambasciate italiane, la tanto attesa riforma della cooperazione allo sviluppo.

Il nuovo governo prova a fare un balzo in avanti: il quarto incontro con l’Africa viene innalzato a vertice, puntando sulla partecipazione non più solo dei ministri, ma dei capi di stato. D’altronde, gli avvenimenti geopolitici degli ultimi tempi hanno cambiato le carte in tavola, e nel nuovo panorama globale l’Africa è diventato un attore cruciale. Non più solo per la vecchia questione dei migranti, ma anche per la nuova questione energetica. L’Africa è al centro di attenzioni sempre più estese. L’Africa interessa.

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.