I costi della transizione energetica e quelli più grandi del cambiamento climatico

Nelle ultime settimane in tutta Europa gli agricoltori hanno protestato, tra le altre cose, contro misure volte a disincentivare l’utilizzo di carburanti inquinanti. La destra ha cavalcato la protesta, presentandole come decisioni calate dall’alto a dispetto degli interessi della povera gente. Ma gli agricoltori, come noi tutti, dovrebbero essere consapevoli che i costi che dobbiamo affrontare oggi per la transizione energetica sono di gran lunga inferiori a quelli che potremmo affrontare in futuro a causa dei danni del cambiamento climatico. A farsi alfiere di questa consapevolezza dovrebbe essere la sinistra, che però non riesce a farla penetrare nel dibattito pubblico.

Tra le ragioni che hanno spinto gli agricoltori a bloccare le strade di tutta Europa a bordo dei loro trattori, soprattutto in Germania dove si sono fatti sentire già a inizio gennaio, c’è stata la cancellazione dei sussidi al gasolio agricolo: 21 centesimi sovvenzionati su una tassa di 47 centesimi per litro di gasolio. Il governo tedesco aveva introdotto la misura come disincentivo all’utilizzo di carburanti emissivi e inquinanti, che contribuiscono al riscaldamento globale e all’abbassamento della qualità dell’aria, ma si è visto costretto a rivederne i tempi di applicazione, arrivando a spalmarne l’attivazione su un periodo pluriennale.

Dalla porta di Brandeburgo le contestazioni si sono espanse a macchia d’olio in tutta Europa, prendendo di mira politiche diverse, dalla tutela della biodiversità al taglio dell’uso dei pesticidi, e a diversi livelli, da quelli nazionali a quello europeo. Le destre hanno sempre più strumentalizzato la protesta in chiave “anti Green Deal”, rimproverando alla Commissione Europea di calare dall’alto una serie di misure costose che andrebbero ideologicamente a favore dell’ambiente e contro la povera gente, che non ha i mezzi finanziari per sostenerle.

Anche nel caso dei gilet jaune in Francia nel 2018 le proteste erano partite da un aumento dei prezzi dei carburanti, intesi anche in quell’occasione come spinta verso la sostenibilità ambientale e climatica. A distanza di più di cinque anni sembra che ancora nessuno sia disposto a pagare i costi di una transizione ecologica ed energetica che viene descritta, dai trattori e dai detrattori, quasi come un capriccio green, una posa radical chic e non per quello che è, ovvero un’urgente e ineludibile necessità, anche per chi lavora la terra. Senza una drastica riduzione delle emissioni, incluse quelle prodotte dal gasolio agricolo, le temperature continueranno gradualmente ad alzarsi e altrettanto gradualmente calerà la resa dei terreni, specialmente in area mediterranea, per l’effetto di prolungate siccità o per improvvise bombe d’acqua che li allagano, come ci hanno già d…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.