Majdan dieci anni dopo, tracce di una rivoluzione che fu anche artistica

Il periodo prolungato delle proteste di Majdan in Ucraina, la loro ormai matura motivazione sociopolitica e il tragico sacrificio che ne è conseguito con l'invasione su larga scala da parte di Putin, hanno dato vita a un’incredibile espressione artistica sia da parte di professionisti sia di amatori attivi nelle piazze della capitale e delle principali città del Paese.
Majdan 2014, Evgen Brytavski

Le grandi rivoluzioni dal basso dell’Ucraina (rivoluzione sul granito – 1989, rivoluzione arancione – 2003-2004, rivoluzione della dignità – 2013-2014) e i tragici eventi accaduti dieci anni fa (l’annessione della penisola di Crimea da parte della Russia nel marzo 2014, lo scoppio del conflitto militare nell’est del Paese, la secessione delle repubbliche separatiste di Donec’k e Luhans’k e, non da meno, l’invasione russa su larga scala del 24 febbraio 2022) sono diventati momenti importanti, fruttuosi e difficili della storia delle arti dell’Ucraina contemporanea. In particolare, le proteste di Euromajdan dell’inverno 2013-2014 hanno dato un enorme impulso alla scena artistica ucraina, accentuando i processi iniziati nel 2004 con la rivoluzione arancione e finendo per spianare la strada ai movimenti e alle iniziative culturali di cui il paese oggi, stretto nella morsa di una guerra di cui non si vede la fine, abbonda.

Il periodo prolungato delle proteste euromaidaniste, la loro ormai matura motivazione sociopolitica e il tragico sacrificio che ne è conseguito, hanno dato vita a un’incredibile espressione artistica sia da parte di professionisti che amatori attivi nelle piazze della capitale e delle principali città del Paese. In effetti, Majdan stesso è diventato una vera e propria opera d’arte. Se nel 2004 c’era stato qualche timido accenno di partecipazione attiva da parte dei rappresentanti della scena artistica, l’esperienza del 2013-2014 ha subito un’impennata emotiva e ha spinto molti autori a scoprire, con l’arte, anche i controversi concetti di patriottismo e nazionalismo. Questo slancio semi-volontario, senza il quale la rivoluzione stessa e le successive vicende militari non sarebbero state possibili, ha inevitabilmente portato alla graduale radicalizzazione del sentimento di destra nella società, all’insicurezza e alle controversie dei movimenti di sinistra e all’intensificazione del nazionalismo, nonché al conseguente fenomeno della decomunistizzazione (accelerato e frettoloso) e a una crisi identitaria e politica affatto indifferente.

Se l’arte è politica, da che parte sta?

Nella fase iniziale di Majdan del novembre-dicembre 2013, la componente artistica ha ancorato l’identità della protesta a un movimento non-violento, che affondava le sue radici nel ricordo della rivoluzione di dieci anni prima, dove la militanza era rappresentata esclusivamente da slogan pacifici e dove arte e parola avevano la meglio sull’azione fisica. L’Euromajdan ha avuto inizio sui social media: il 21 novembre 2013 il giornalista e attivista ucraino Mustafa Nayyem, al tempo deputato alla Verchovna Rada per il blocco democratico, scrisse un post su Facebook che ebbe un impatto enorme sugli sviluppi politici successivi. Frustrato dalla decisione dell’allora presidente Viktor Janukovyč di non firmare l’accordo di associazione con l’Unione Europea, promesso da tempo, Nayyem chiese se ci fossero persone disposte a unirsi a lui e scendere in piaz…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.