A cent’anni esatti dall’avvento del fascismo, discrimine tra due guerre mondiali, l’aggressione della Russia di Putin all’Ucraina sembra aver riportato il mondo sull’orlo di un nuovo conflitto globale. Un ricorso storico già di per sé inquietante – perché sembra confermare la ciclicità e, quindi, l’inevitabilità delle grandi guerre – che viene ulteriormente rafforzato dalla pretesa di spiegare gli eventi odierni con le categorie di allora: la politica di potenza, l’imperialismo, i nazionalismi. Un errore di interpretazione dovuto a una certa pigrizia intellettuale, ma che potrebbe rivelarsi fatale. E non in senso metaforico: la prima differenza rispetto al secolo scorso, impossibile da ignorare, è che oggi il pianeta potrebbe non sopravvivere a una guerra mondiale.
Insomma, dovremmo ormai avere imparato che ogni guerra è destinata, sempre, a produrre macerie fisiche, economiche e sociali. Potremmo dire che è concepita per sottoporre alla prova più estrema (e cinica) la distruzione creatrice del capitalismo, la sua mitizzata capacità di trasformare qualunque crisi in fattore di rinascita: l’annientamento programmato e sistematico di quanti più individui possibile, insieme ai loro manufatti e alle loro città come stress test per il mercato.
E la politica non è da meno: ogni guerra è una scommessa giocata dai governi a spese delle vittime, militari e civili. Una scommessa tutto sommato facile perché, che si vinca o che si perda, non è mai chi ha fatto la puntata a rimetterci la vita. Il conflitto in Ucraina, tuttavia, ha raggiunto un livello di azzardo senza precedenti. Lo dimostrano non tanto le ripetute minacce di ricorrere, se costretti, all’uso dell’arma atomica; quanto, ad esempio, i continui bombardamenti nell’area della centrale nucleare di Zaporizhzhia.
Ogni missile che esplode nelle sue immediate vicinanze è come un colpo a vuoto nel tamburo della pistola puntata contro l’intero pianeta, ma se anche uno so…