Radici cristiane dell’Europa, un mito politico-religioso per tutte le stagioni

Il denso saggio storico-culturale di Sante Lesti “Il mito delle radici cristiane dell’Europa dalla Rivoluzione francese ai giorni nostri” smaschera il dispositivo ideologico-identitario che da circa due secoli sta alla base della tesi apparentemente plausibile delle radici cristiane dell’Europa. Un mito che serve al Vaticano per ribadire la sua influenza sul Vecchio continente e che ognuno dei pontefici dell’ultimo secolo ha declinato in accordo ai propri scopi e alla propria visione.

            Il mito delle radici cristiane dell’Europa dalla Rivoluzione francese ai giorni nostri di Sante Lesti (docente di Storia contemporanea all’Università di Pisa, classe 1984), pubblicato da Einaudi all’inizio di marzo 2024, è un saggio in cui per la prima volta viene esplorata con rigore storico la questione delle radici cristiane dell’Europa. Quattro, in particolare, come si legge nell’Introduzione, sono gli scopi che Lesti si propone di raggiungere. Il primo è quello di mostrare che “religione ed Europa si sono sposate (…) oltre due secoli fa, nell’Europa della Rivoluzione e della Controrivoluzione che ha forgiato, sul piano politico, il mondo moderno”; il secondo è quello di “ricostruire che cosa abbiano fatto, nei differenti contesti in cui sono state rilanciate”, le cosiddette radici cristiane dell’Europa; il terzo “è comprendere come il mito delle radici cristiane dell’Europa e i suoi sostenitori abbiano fatto ciò che hanno fatto: con che ‘strategia’”; il quarto, infine, “è collocare i riusi del mito nelle visioni del passato, del presente e del futuro dell’Europa in cui si inseriscono: visioni spesso estremamente affascinanti, e che infatti hanno sedotto milioni di persone, se pensiamo ai lettori di Chateaubriand o ai seguaci di Giovanni Paolo II”.

            La netta divisione in due parti, “La preistoria del mito” e “La storia del mito”, comprendenti rispettivamente i capitoli I-II e III-V (cui segue un Epilogo su Papa Francesco e Giorgia Meloni intitolato “L’apprendista stregone”), mira a “sottolineare la cesura principale che caratterizza la storia del mito: la sua appropriazione da parte del papato, a cominciare da Pio XII. Fino a quel momento, infatti, i papi si limitano a osservarlo da lontano, nonostante i loro predecessori siano tra i suoi grandi protagonisti”.

            Per chiudere questa carrellata di citazioni dirette, prima di entrare nel dettaglio dei contenuti che sostanziano l’argomentazione generale del saggio, mette conto riportare per esteso la tesi di fondo che ha guidato la ricerca, con l’esplicitazione della quale l’autore conclude l’Introduzione: “Le radici cristiane dell’Europa sono un mito storico-identitario. Pretendono di dirci non soltanto da dove veniamo, ma anche chi siamo e, soprattutto, non possiamo non essere, perché – come sottolineano i sostenitori del mito – un albero cui vengono tagliate le radici, muore. Come ogni mito storico-identitario, perciò, quello delle radici cristiane dell’Europa sparge un duplice ‘veleno’: da una parte, infatti, esclude alcuni di noi (chi non è cristiano non è europeo?), e, dall’altra, ci ruba il futuro, privandoci della possibilità di scegliere chi essere. ‘Per la maggior parte della sua storia, però, il mito delle radici cristiane…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.