Il reddito di base in Africa, da aiuto caritatevole a scintilla di sviluppo

La terza puntata del nostro reportage sul reddito di base nel mondo: le sperimentazioni in Namibia, Kenya e Uganda raccontano l’evoluzione della misura “caritatevole” in motore di crescita dei villaggi più poveri.

Prima parte: Il reddito di base negli Usa, soluzioni locali a un problema globale

Seconda parte: il reddito di base dal Brasile all’intero Sudamerica?

E se vi dicessero che, parlando di sperimentazioni sul reddito di base, l’avanguardia è rappresentata dall’Africa? “Soprattutto parliamo di sperimentazioni riuscite” sottolinea Sandro Gobetti del Basic Income Network Italia, che con Luca Santini ha raccolto le sperimentazioni in giro per il mondo nel libro Reddito di base – Tutto il mondo ne parla.

Primo esempio: dal gennaio del 2008 al dicembre 2009 – parliamo di ormai un decennio fa – mille persone dei villaggi di Otjivero, in Namibia hanno ricevuto ogni mese circa 9 euro (cento dollari namibiani). Un’iniziativa, questa, nata grazie al Basic Income Grant Namibia Pilot Project formato da diverse associazioni namibiane e che ha visto in prima fila il vescovo della Chiesa evangelica luterana Zephania Kameeta, una figura chiave nella lotta all’apartheid.

Destinatari del primo reddito di base africano tutti gli abitanti di Otjivero, bambini compresi. “Obblighi”: ogni cittadino doveva semplicemente essere parte attiva del progetto, fornendo informazioni in merito ai cambiamenti nel proprio stile di vita derivanti dal sostegno. Due studiosi in particolare, Claudia e Dirk Harmaan, all’epoca coordinatori del progetto e membri del gruppo di ricerca in Sviluppo sociale presso l’università di Western Cape, in Sudafrica, hanno constatato una diminuzione della malnutrizione dei bambini dei villaggi (dal 42 al 17 percento) in appena un anno, un calo della disoccupazione e un aumento dell’occupazione.

Non solo. La misura ha avuto impatti positivi anche sul fronte sanitario: è aumentato di ben sei volte il numero di persone in cura per l’Aids, si è registrato un balzo esponenziale nella frequenza scolastica dei bambini, sono diminuiti i furti ed è crollato il tasso di criminalità. E ancora: sono diminuite le persone che cercavano cibo nella spazzatura e gran parte…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.