Non è un Paese per poveri. Intervista a Chiara Saraceno

Essere poveri? Una colpa. I percettori del Reddito di cittadinanza? Trattati come criminali. I politici? Disinteressati a capire. Soluzioni? Un radicale cambiamento culturale. La prima intervista della serie “La politica che non c’è” è a Chiara Saraceno, sociologa e coordinatrice dell’Osservatorio sul RdC voluto dal governo, le cui proposte per migliorare la misura di welfare sono state ignorate da tutti, da Draghi in giù. Prossima puntata (17 dicembre): Fabrizio Barca.

La politica che (non) c’è: tutte le interviste

Il Reddito di cittadinanza è da cambiare. Ma in meglio. Così abbiamo titolato su MicroMega.net l’11 novembre scorso. Questa la necessità emersa dalla relazione del Comitato scientifico sul Reddito di cittadinanza guidato da Chiara Saraceno. Una relazione che parte dai dati dei beneficiari e arriva a quello che potremmo definire un principio: questo tipo di welfare è necessario. E quanto sia necessario è emerso con tutta la sua forza – guardando il panorama internazionale – nella prima settimana di aprile 2020 quando, in pieno lockdown dovuto alla pandemia da Covid19, 106 Paesi hanno introdotto nuove forme di protezione sociale, di sostegno al reddito, sussidi e via dicendo[i]. In quella settimana, tra le formule di intervento introdotte, il trasferimento di denaro alle persone, il cosiddetto cash transfer, è stato quello utilizzato per un totale di 241 programmi, raggiungendo circa 600 milioni di persone nel mondo. La discussione con Chiara Saraceno, sociologa, filosofa e accademica, direttrice del Comitato scientifico sul Reddito di cittadinanza, parte da qui. Parte da come le ultime due crisi del secolo appena iniziato, finanziaria del 2009, pandemica del 2019 e tutt’ora in corso, emerse all’interno del più ampio scenario guidato dalle politiche di austerità, abbiano dimostrato ancora una volta quanto il ruolo dello Stato sia necessario nel garantire i servizi sociali minimi. “Il ruolo dello Stato può essere realizzato soltanto se ci sono adeguate risorse, se tutti noi cittadini paghiamo contributi secondo le nostre possibilità” sottolinea Saraceno. Banalità? Non in quella che Saraceno definisce “l’Italia degli evasori fiscali”.

“Certo”, sottolinea Saraceno, “una tale mole di stanziamenti a livello planetario per affrontare i lockdown non può essere un modello per dimostrare che ‘i soldi ci sono’, in quanto nella maggior parte dei casi quei programmi di emergenza sono stati fatti a debito”. In poche parole “impegnando un pezzo di futuro”. Ma dimostra anche quanto invece pesino altre scelte prettamente politiche volte solo a cercare consenso “come Quota 100 o Quota 102”. Perché quelle spese “improprie” sono state “caricate in maniera strutturale sulle generazioni future”. Ben vengano, ovviamente, “programmi per contrastare il bisogno immediato”, ma la partita è tutta “nei programmi strategici”. La guida? Nel caso italiano, ovviamente, l’articolo 3 della Costituzione. Tutto parte da lì, da quella carta che disegna l’Italia ideale. Carta – come ricostruisce Tomaso Montanari nella lectio magistralis che potete leggere in questo numero di MicroMega+ – da tempo ignorata. Perché, nell’Europa dell’austerità, nel mondo uscito (uscito?) a fatica dalla crisi del 2009 e dieci anni dopo precipitato in quella pandemica, “c’è chi ha perso, anche tutto, ma c’è chi ha guadagnato, anche tanto. E questo guadagno andrebbe in qualche modo restituito”.

Professoressa Saraceno, e se l’Italia avesse dovuto affrontare la crisi da Covid19 senza Reddito di cittadinanza, cosa sarebbe accaduto?
Sarebbe esplosa ancora di più la povertà. Una povertà che, è bene ricordare, ha iniziato a diminuire nel 2019, effetto proprio del Reddito di Cittadinanza. Ora, visti i dati del 2019, vista l’esplosione della pandemia, vista la crisi economica, la risposta era lì, pronta: ampliare i beneficiari del Reddito di cittadinanza, ristrutturarlo, cambiarlo in meglio visto che, come dimostrato fin dalla sua introduzione e a maggior ragione dopo l’esplosione della crisi economico-sanitaria, così com’è non è riuscito a coprire tutti i poveri, dagli stranieri che non hanno il requisito dei dieci anni di residenza in Italia a chi ha perso improvvisamente il proprio reddito ma ha un Isee, basato sul precedente anno fiscale, troppo alto per vedersi definito povero in quel momento. Inoltre, il Reddito di cittadinanza per come è configurato avvantaggia le famiglie composte …

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.