Là dove c’era l’erba… Riprogettare le città a partire dai bambini

Imparare la lezione di questa pandemia, sotto il profilo urbanistico, significherebbe tornare alla centralità dei territori e della persona con i suoi diritti (prima di tutto quello alla salute). E farlo a partire dai bambini.

Next Generation? Generazione Alpha? In ambito sociologico e del marketing c’è una grande agitazione e una notevole fretta nel definire la generazione di coloro che avevano meno di dieci anni quando è scoppiata la pandemia del Sars-CoV-2.

E Next Generation è il nome del possente Piano straordinario da 800 miliardi di euro che ha l’obiettivo, affiancandosi al bilancio ordinario dell’Unione Europea, di trasformare la catastrofe sanitaria in una opportunità di modernizzazione del Vecchio continente: piùverde, finalmente digitale e resiliente, capace cioè di adeguarsi alle prossime imprevedibili sfide.

Solo che chi sta lavorando al piano che dovrebbe essere per la Next Generation appartiene proprio a quelle generazioni – le più numerose di sempre ­­– che sono le principali responsabili politiche, economiche, sociali, culturali della condizione in cui il pianeta si trova oggi, in cui le comunità si trovano oggi.

Generazioni che hanno visto emergere i più importanti movimenti della storia volti alla lotta alle diseguaglianze, alla conquista dei diritti e al miglioramento delle condizioni di vita ma, alla fine, hanno di fatto indirizzato la loro azione quasi del tutto a un resistibile dominio dell’individualismo, a una forte presentificazione, a un atteggiamento dissipativo delle risorse e, superate le fasi “eroiche”, a nuovi conservatorismi a tutela delle rinnovate fasce di notabilato locale, nazionale e sovranazionale.

E allora proviamo davvero a guardare le cose dal punto di vista dei bambini, di coloro che avranno 20 anni nel 2030 quando, secondo impegni che gli stessi sottoscrittori dubitano si possano mantenere, le emissioni di gas climalteranti dovranno essere ridotte di almeno il 55% rispetto al 1990; la produzione di energia carbon free dovrà aver raggiunto il 40% e l’efficienza energetica dovrà aumentare del 36%. E proviamo a guardarlo, soprattutto, dal punto di vista di quei bambini che vivono nelle città, sia in quelle più grandi che in quelle medie e piccole.

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L’amplissimo dibattito pubblico che sta riguardando questi temi, come è stato più volte sottolineato negli ultimi diciotto mesi su MicroMega, vede un’attenzione molto marginale verso le questioni legate agli aspetti territoriali e urbanistici di tali scelte, come se esse non riguardassero gli ambiti in cui gli esseri umani vivono e operano, dunque, lo spazio costruito.

Al contrario, sarebbe logico in una fase storica epocale in cui le comunità umane devono tornare principalmente a prendersi cura dello spazio terrestre (urbano e non solo) per garantire la loro stessa salute, che avesse un adeguato diritto di cittadinanza una disciplina che, nella sua veste moderna, era nata proprio per fare fronte a grandi problemi sanitari diffusi in ambito urbano (Fonssagrives, 1871).

Immediatamente diffusa anche in Italia come “Ingegneria sanitaria” nella seconda metà dell’Ottocento, con lo scopo di prendersi cura delle città flagellate dal colera e altre malattie infettive e delle campagne dove la malaria dilagava, è già oggetto di pubblicazioni pochi anni dopo. Il primo testo italiano di questa disciplina è pubblicato nel 1879 da un ingegnere catanese che si era laureato a Napoli: Filadelfo Fichera che nel 1886 – nel suo secondo libro – scriveva: «La importanza che la medicina moderna annette ai provvedimenti sanitari relativi alle costruzioni pubbliche e private, ha creato la <…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.