Covid e vaccini: le colpe dei governi e la tirannia di Big Pharma

Il deficit di solidarietà internazionale e l’apartheid sanitario nella distribuzione dei vaccini tra nord e sud del pianeta rischiano di rendere impossibile la sconfitta della pandemia.

Alla fine del secondo anno di pandemia, il coronavirus SARS-CoV-2 mantiene inalterata la propria folgorante capacità di generare nuovi stati di eccezione. Abbiamo visto, alla fine di novembre, come l’insorgere della variante Omicron identificata in Sudafrica abbia determinato come primo risultato la repentina decisione di sospendere la 12ma Conferenza interministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc), un appuntamento negoziale molto atteso, anzi decisivo per il futuro stesso dell’istituzione con sede a Ginevra: rimandato a data da destinare. L’anno 2021 era stato inaugurato nel corale entusiasmo per il trionfo della scienza che era riuscita a sviluppare una prima tornata di vaccini anti COVID-19 in meno di un anno, e con la soddisfatta attesa per l’avvio delle produzioni vaccinali su scala mai vista prima. Un’euforia quasi inebriante: la corsa ai vaccini aveva ispirato il presidente Biden alla celebrazione, il 4 luglio 2021, della indipendenza statunitense dal virus, in piena linea di continuità con l’obiettivo America first di Donald Trump. Ci aveva pensato poi la variante Delta a costringere la leadership americana a un bagno di realtà. In Europa, la gara alle vaccinazioni ha tenuto banco per mesi come criterio per misurare la credibilità delle nazioni, mentre le società sentivano ormai di averla scampata, e di poter ricominciare la vita di prima. Ma ecco la variante Omicron che in tre settimane ha raggiunto tutti i continenti e ora sta semplicemente “divampando, in giro per il mondo”, come ha dichiarato in queste ore il guru americano delle malattie infettive, Anthony Fauci.

Così il 2021 ha chiuso i battenti con una nuova maieutica del virus che costringe l’Europa ad un ritorno dei lockdown (in Olanda), ad una considerevole recrudescenza dei contagi e delle ospedalizzazioni in terapia intensiva (in Germania e Gran Bretagna), ad una rinnovata escalation nel numero dei decessi.

Negli Stati Uniti, l’indipendenza mancata dal virus si conta tra i 50 milioni di americani non ancora vaccinati, e nella diffusa resistenza al vaccino. Crescono le preoccupazioni per le capacità di ricezione degli ospedali. Omicron non scherza. Grazie alla vasta costellazione di mutazioni l’elevato grado di contagio – superiore di almeno tre volte la variante Delta, secondo gli studi – può risultare particolarmente rischioso per le popolazioni non ancora immunizzate. Come ha illustrato Fauci, la maggioranza della popolazione appare spossata dalla pandemia e dal nuovo pericolo dei contagi. Risulta positiva al virus il 40% e addirittura il 50% della popolazione in alcune zone particolarmente reticenti del paese. Intanto, soprattutto nei 12 stati del sud che si rifiutano di espandere il programma Medicaid per l’assistenza sanitaria ai gruppi sociali più vulnerabili e privi di copertura assicurativa – stiamo parlando della popolazione disoccupata e dei working poors, occupati ma con salari da fame – quasi …

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.