Giocare con le parole. Intervista all’autrice Maddalena Fingerle

Parole, lingue, linguaggi, bilinguismo, comunicazione, incomunicabilità: intervista a 360 gradi a Maddalena Fingerle, autrice del romanzo “Lingua madre”, vincitore del Premio Italo Calvino 2020.

Ho conosciuto Maddalena Fingerle l’anno scorso, in occasione della presentazione del suo libro Lingua Madre nell’ambito di una ormai tradizionale, attesissima estate letteraria nella trentina Val di Non.

Con quest’opera prima Fingerle si è aggiudicata diversi riconoscimenti, tra cui il prestigioso Premio Italo Calvino, il Premio Comisso e il Premio Flaiano per gli under 35.

Il 16 marzo scorso, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Berlino, dove vivo, è stata presentata la traduzione tedesca, a cura di Maria E. Brunner, pubblicata da Folio Verlag.

Abbiamo così ripreso il nostro dialogo iniziato in agosto.

Ho talmente apprezzato il tuo libro quando lo abbiamo presentato assieme l’estate scorsa che sono rimasta in trepida attesa dell’edizione tedesca. Per una serie di ostacoli sia linguistici sia contenutistici, sicuramente una versione in lingua tedesca rappresenta una vera sfida strutturale e metodologica.

Credo che ogni traduzione sia una sfida, in questo caso la difficoltà maggiore penso fosse azzeccare il tono del protagonista, cosa che a Maria E. Brunner è riuscita perfettamente, tanto che la prima volta che ho ricevuto le bozze della traduzione, saltellavo per casa urlando: «Non è possibile: Paolo parla tedesco!». Non ci credevo, è stato straniante, ma anche molto emozionante, devo ammettere.

Poche righe dell’incipit: «È da quando sono nato che mia madre piange. Piange perché la mia prima parola è parola. Piange perché dico parola e non mamma. […] Piange perché le dico che ormai parola non significa più parola, perché lei mi ha sporcato la parola. Piange perché le dico che odio le parole sporche perché sono sporche come la parola parola». Con un inizio così folgorante ci presenti Paolo Prescher, che vive a Bolzano con la famiglia, ha una madre logorroica e iperattiva, eccessivamente presente, e un padre depresso che si chiude invece nel mutismo. Paolo sviluppa un interesse decisamente ossessivo per le parole, catalogandole in sporche e pulite. Ma le parole sporche non sono parolacce. Le parole sporche di Paolo sono altro, ce lo spieghi?

Paolo dice che «le parole pulite sono così: dici una cosa e intendi quella cosa, sono vere e limpide, non ci sono associazioni mentali che le rovinano, che le macchiano o che le sporcano». Sono quindi quelle sincere in cui c’è aderenza…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.