“Salario minimo, un argine allo sfruttamento sul lavoro”

Un’intervista corale con le Camere del lavoro autonomo e precario (Clap) per sbrogliare la matassa di retorica e falsi miti attorno ai temi del salario minimo legale e del reddito di cittadinanza, “due strumenti necessari e complementari”.

“In Italia, lo sfruttamento sul lavoro è una caratteristica cronica del sistema”. Esordiscono così le Camere del lavoro autonomo e precario (Clap) nella lunga intervista rilasciata a MicroMega. Un dialogo corale con il sindacato “metropolitano” per sbrogliare la matassa di retorica e falsi miti attorno al tema del salario minimo legale. E per dare spazio alle proposte in merito targate Clap.

Le Camere del lavoro autonomo e precario non fanno sconti a nessuno: diritti, lavoro e dignità sono i capisaldi dell’organizzazione, nata a Roma nel 2014, dopo le ondate del movimento studentesco e dello sciopero sociale europeo. Fin dalla sua nascita, si sono battute per i senza tutele, ovvero coloro che sono privi di una rappresentanza politica e sociale, figli del processo di precarizzazione economica, avviato nel millennio precedente.

Qual è la vostra posizione sull’introduzione di un salario minimo legale in Italia?

Siamo assolutamente favorevoli all’introduzione di un salario minimo legale. Del resto, il contesto salariale italiano è disastroso, gli stipendi non crescono da trent’anni. Caso unico in Europa. Secondo alcune ricerche recenti, un terzo dei lavoratori è povero. Una condizione che riguarda in particolare donne, giovani, meridionali e migranti. Il problema è che negli ultimi trent’anni l’occupazione è cresciuta quasi esclusivamente nei settori low-skilled, come quello dei servizi turistici o di assistenza e cura alla persona. Questa tendenza è, a sua volta, collegata a una eccessiva concentrazione dell’occupazione nelle imprese di piccola dimensione, dove maggiore è il contenimento salariale. Basti guardare alla provenienza della violenta retorica degli imprenditori che si lamentano di non riuscire a trovare personale a cui offrire stipendi vergognosi. La verità è che in questi comparti la retribuzione non è sufficiente per sottrarsi alla spirale della povertà. Si tratta di un problema urgente che bisogna affrontare immediatamente.

Avete una vostra proposta di salario minimo legale?

Al momento più che avanzare una proposta precisa, ci interessa soprattutto sollevare il problema, creare ambiti di discussione larghi, animare insieme ad altre e altri processi di convergenza e di lotta. Non crediamo sia utile in questa fase piantare bandiere.
Riteniamo doveroso, però, mettere in chiaro alcuni paletti. Primo, è necessario partire con un salario minimo legale, valido erga omnes e non confinato a pochi settori. Un salario minimo che funzioni da pavimento universale per la contrattazione collettiva di settore, che dal nostro punto di vista ne uscirebbe solo rafforzata. Anzi avrebbe la funzione essenziale di superare solo verso l’alto il salario minimo legale, laddove i rapporti di forza lo consentano.
Inoltre, dovrà essere necessariamente agganciato all’andamento dell’inflazione con “meccanismi automatici”, altrimenti rischia di essere uno strumento poco utile. Un’inflazione al 7% come quella di questi mes…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.