La politica perduta e la vitalità del Terzo Settore. Intervista a Vanessa Pallucchi

“Presenza sui territori, competenze, mutualismo: così facciamo politica sopperendo all’assenza del pubblico”. Con la portavoce del Forum Terzo Settore ripercorriamo le sfide che le organizzazioni non profit stanno portando avanti per fronteggiare le diverse crisi che attanagliano il Paese.

L’undicesima intervista della serie “La politica che (non) c’è“ è a Vanessa Pallucchi. Dopo i confronti con diverse ong (Daniela Fatarella – Save the Children, Marco De Ponte – ActionAid), con la portavoce del Forum Terzo Settore ripercorriamo le sfide che le varie organizzazioni stanno portando avanti per fronteggiare le diverse crisi che ormai da tempo attanagliano il Paese. “Oggi”, spiega Pallucchi, “il terzo settore sta guardando a come riposizionare le proprie organizzazioni in un momento di crisi istituzionale, con i partiti che non svolgono più alcun ruolo, le nostre comunità sempre più fluide”. Manca “senso di cittadinanza”, la “dimensione di sé vive solo nella dimensione privata e individuale”. Nonostante ciò, le varie organizzazioni e, in generale, il terzo settore “rappresenta sui territori e nelle comunità un coagulo organizzativo”. No, “il terzo settore non è in crisi”.

Perché il terzo settore sta resistendo, in un momento storico come questo, e, addirittura, si sta mostrando sempre più attivo?
Effettivamente oggi il terzo settore rappresenta un elemento di discontinuità, grazie – a mio avviso – a due elementi che lo caratterizzano. Il primo: ha una visione del futuro basata su valori importanti, solidarietà, inclusione, sostenibilità. Questo ci porta ad avere un respiro che la politica oggi tende a perdere, una politica sempre più spesso asfittica in termini soprattutto di presenza sui territori. Il secondo: la tenuta organizzativa, che costruisce oggi la vera risposta in un momento in cui i cittadini, le persone, versano in situazioni di difficoltà. Anche per il Terzo settore questa è una grande sfida, un obiettivo che richiede sempre nuove energie, ma comunque al nostro interno si respira la necessità di partecipare, di rivedersi in una situazione collettiva anche solo per attività di tipi ricreativo e non solo per veder soddisfatti i propri bisogni. Partecipare, condividere, confrontarsi è nel nostro dna. A questo aggiungerei anche la velocità, la quasi immediatezza, nel fornire risposte.

E non è un caso che oggi il terzo settore, le grandi e piccole associazioni, le organizzazioni non governative, il mondo non profit stia aggregando molti giovani.
La spinta giovanile c’è in ogni campo. Teoricamente ci sarebbe anche nei partiti. Ma come Terzo settore ci siamo impegnati e continuiamo a impegnarci affinché si creino spazi appositi. Ormai tutte le nostre organizzazioni hanno un settore giovanile, una consulta, un movimento. E lì i giovani trovano uno spazio politico. Pensiamo al tema ambientalista: sulla questione climatica o sulla pandemia tutte le organizzazioni si sono confrontate, capendo ben presto la necessità di tenere dentro tutte quelle istanze che oggi sono strettamente collegate alla questione ambientale. Oggi parliamo della crisi dell’intero pianeta, e i ragazzi vedono compromesso il loro futuro. Hanno davanti una sfida globale e l’hanno raccolta ma, e questo è un elemento straordinario, cercano sponde. Hanno capito che per risolvere questione globali è necessario giocar…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.