Circuiti di guerra

Il 7 ottobre l’amministrazione Biden ha scatenato un’offensiva tecnologica contro Pechino, imponendo limiti stringenti e controlli severissimi all’esportazione in Cina dei microchip – la risorsa oggi più cruciale per l’industria globale – e delle tecnologie per produrli. Un atto di guerra economica che avrà immense conseguenze geopolitiche.

Il 7 ottobre scorso una guerra mondiale è stata dichiarata. Una guerra di cui nessun telegiornale ha parlato, ma i cui effetti saranno pesantissimi per tutti noi. Quel giorno infatti l’amministrazione Biden ha scatenato un’offensiva tecnologica contro la Cina: ha imposto limiti stringenti e controlli severissimi all’esportazione in Cina non solo di circuiti integrati, ma dei disegni di questi circuiti, delle macchine per “scrivere” questi circuiti nel silicio e degli utensili che queste macchine compongono. Tutte le imprese (americane e non) che esportano queste voci in Cina devono da ora in poi chiedere una dispensa speciale, nel caso questi articoli servano per produrre beni di imprese americane od occidentali (come i cellulari della Apple, o le auto della GM o della Volkswagen).

Perché gli Stati uniti hanno emesso queste sanzioni? E perché sono così gravi? Perché oggi nel mondo “l’industria dei semiconduttori produce ogni giorno più transistor di quante cellule abbia il corpo umano”, scrive Chris Miller nel suo recentissimo Chip War. The Fight for the World’s Most Critical Technology [1]: i circuiti integrati, i chip, entrano infatti in tutti i beni che noi oggi consumiamo, cioè in tutti i beni che la Cina produce, dalle automobili ai cellulari, dalle lavatrici ai tostapane, dai televisori ai forni a microonde. Perciò la Cina usa più del 70% dei semiconduttori prodotti nel mondo, ma, contro la percezione corrente, ne produce lei stessa solo il 15%. E la cifra del 15% è ingannevole per eccesso, perché la Cina non produce nessuno dei chip di ultima generazione, quelli che servono per l’intelligenza artificiale (AI) e per i sistemi d’arma avanzati.

Senza chip non si va da nessuna parte, come ha constatato la Russia che, dopo l’embargo occidentale per l’invasione dell’Ucraina, ha dovuto chiudere fabbriche di automobili perché aveva esaurito le scorte di chip (la scarsità di chip contribuisce alla scarsa efficacia dei missili russi, solo pochissimi dei quali sono “intelligenti” cioè dotati dei microprocessori di guida e correzione di rotta).

Ora la produzione dei chip è un processo industriale globale che ha almeno quattro importanti colli di bottiglia (che in cinese sono definiti, con più crudezza, “punti di strangolamento”): “1) architetture di chip di IA (Intelligenza Artificiale), 2) software per l’automatizzazione del disegno elettronico, 3) macchine utensili per produrre semiconduttori; 4) componenti del macchinario. Gli ultimi atti dell’amministrazione Biden sfruttano simultaneamente il dominio Usa su tutti e quattro questi colli di bottiglia. In tal modo, queste azioni dimostrano un livello senza precedenti di intervento del govern…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.