La gioia disarmante. La Federazione Anarchica Informale e il fascismo discreto dell’antiborghesia 

Ne "Il marchio della Vita" la Federazione Anarchica Informale rivendica l'atto di Cospito come una via immaginifica alla distruzione dell'esistente ordine sociale ed è un'espressione della gioia armata come fine a se stessa. Questa visione è distante dalla maggioranza dell'anarchismo e si avvicina a concezioni nichiliste, aristocratiche e fasciste.

Veri pirati noi siam,

contro il sistema lottiam,

ci esercitiamo a scuola

a far la faccia dura

per fare più paura.

Da una canzonetta del secolo scorso

“Pur non amando la retorica violentista – tiene a premettere l’autore della rivendicazione – con una certa gradevolezza abbiamo armato le nostre mani, con piacere abbiamo riempito il caricatore”. Non solo tale gradevolezza nel compiere il gesto, ma le stesse modalità di questo indirizzano chiaramente al documento che ha ispirato tanto la gambizzazione compiuta da Alfredo Cospito quanto il documento che ne rivendica la paternità alla Federazione Anarchica Informale.  Nel 1977 venne infatti pubblicato un noto pamphlet dalla punteggiatura più anarchica del contenuto, intitolato La gioia armata[1]. Il testo iniziava commentando un’altra gambizzazione, quella del giornalista Indro Montanelli, in questi termini:

Ma perché questi benedetti ragazzi sparano alle gambe di Montanelli? Non sarebbe stato meglio sparargli in bocca? Certo che sarebbe stato meglio. Ma sarebbe stato anche più pesante. Più vendicativo e più cupo. Azzoppare una bestia come quella può anche avere un lato più profondo e significativo, oltre quello della vendetta, della punizione per le responsabilità di Montanelli, fascista e servo dei padroni. Azzopparlo significa costringerlo a claudicare, farglielo ricordare. E poi, è un divertimento più gradevole di sparargli in bocca, col cervello che gli schizza fuori dagli occhi.

Anche nel documento in cui si rivendica l’atto di Cospito e dal titolo Il marchio della Vita. Cercando una via immaginifica alla distruzione dell’esistente, l’uomo raggiunto dai colpi, Roberto Adinolfi, è stato “azzoppato”. La diretta filiazione del documento da quel testo è evidente anche nel vocabolario.

L’autore di quel pamphlet ispiratore era Alfredo Maria Bonanno, un erudito ex cassiere di banca catanese, fondatore della Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica Insurrezionalista (ORAI), rapinatore, saggista, editore e libraio. Questi è probabilmente il maggior esponente della frangia insurrezionalista dell’anarchismo, quella che in Italia si prende gioco della imbelle, ma maggioritaria, Federazione Anarchica Italiana (FAI) utilizzando il medesimo acronimo e aggiungendo al nome della “ditta” la dizione “fuoco e affini”. È allora il caso di conoscere meglio il verbo di questo…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.